Wednesday, October 04, 2006

 

storia contemporanea

Introduzione: il concetto di sicurezza (elementi di continuità in politica estera).....…………p. 1
Il novecento: schema di storia contemporanea 1815-1994
(“Il secolo breve”, Hobsbawm, ed. Rizzoli, Bergamo, 1998)……………..….p. 5
100 anni di pace………………………………………………………………..p. 7
30 anni di guerra………………………………………………………………p. 7
50 anni di guerra fredda……………………………………………………….p. 9

sintesi del testo: “Le prospettive geopolitiche dei Balcani
tra Europa ed Asia centro-meridionale” A.Pepe,
in “La comunità internazionale e la questione balcanica”,
a cura di P.Iusso, A.Pepe, M.Simoncelli, ed.Rubettino, 2002………………… p.10

sintesi del testo:“Dalla guerra fredda al 2000. Storia e problemi dell’Alleanza Atlantica”
A cura di Maurizio Simoncelli, ed. Archivio Disarmo, Roma, 2000
L’evoluzione del concetto di sicurezza: l’eurocentrismo, il bipolarismo,
la nuova minaccia……………………………………….………………………p.10
Nascita e rafforzamento della Nato: gli anni ’50……………………………….p.11
coesistenza competitiva ’60……………………………………………………..p.12
distensione ’70…………………………………………………………………..p.13
nuovo riarmo ’80…………………………………………………………..……p.14
nuovo scenario mondiale ’90……………………………………………..….....p 14


sintesi dei testi: “Storia e politica dell’unione europea” Mammarella-Cacace, ed. Laterza, Bari, 1998;”Governo e politiche dell’unione europea” N.Nugent, ed. il Mulino, Urbino,2001
La trasformazione dell’Europa occidentale……………………………………..p.17
Nascita di una idea. 1926-1945………………………………………………… p.17
La guerra fredda e la CECA
Piano Marshall, Patto Atlantico, Consiglio d’Europa, Ceca. 1946-1950…………………………p.21
CED, una sconfitta annunciata. 1950-1954………………………………………p.25
La scommessa del mercato comune (1955-1957)………………………………..p.28
L’Europa secondo De Gaulle. (1958-1969)………………………………………p.30
La comunità apre le porte (1969-1972)…………………………………………..p.32
L’alleanza difficile (1973-1979)………………………………………………….p.34
La battaglia d’Inghilterra (1979-1984) (Il cosiddetto europessimismo)…………………...p.37
Allargamenti delle CEE……………………………………………………………p.37
Dalle CEE alla UE…………………………………………………………………p.38
Un atto veramente unico (1985-1991)……………………………………………p.39
Maastricht: le istituzioni e la nuova Europa (1992)………………………………p.41
Dopo Maastricht: i trattati di Amsterdam ’97 e Nizza 2000…………………….p.43



Introduzione: il concetto di sicurezza (elementi di continuità in politica estera)
Quando un Paese può dirsi sicuro nelle proprie frontiere? Quando uno Stato è in grado di assicurare sicurezza ai suoi cittadini? E quali parametri considerare per valutare e studiare strategie adeguate al fine di perseguire la sicurezza?
Iniziamo con il dire che per “Stato” si intende un organismo dotato di un determinato territorio ed una determinata popolazione: questi sono i due elementi indispensabili per parlare di “Stato”. Dunque ogni Stato insiste su di un determinato territorio geografico; ebbene: che valore hanno le caratteristiche geografico-naturali e le risorse del territorio e del sottosuolo ai fini di garantire la sicurezza dei propri cittadini?
La sicurezza è legata all’approvvigionamento delle risorse, e sia che tali risorse si trovino all’interno sia che si trovino all’esterno del suo territorio, lo Stato ha bisogno di risorse per vivere.
Individuiamo allora quattro indicatori in base ai quali considerare la sicurezza di uno stato:
1) collocazione geo-politica;
2) risorse interne;
3) estensione geografica in riferimento alla densità demografica;
4) compattezza etnico-religiosa della popolazione.
Data questa premessa, ci domandiamo: gli USA sono un paese sicuro? E possono garantire sicurezza ai singoli cittadini? Dal punto di vista geo-politico gli USA godono di una posizione decisamente tranquilla: non hanno frontiere in pericolo ad né ad est, né ad ovest in quanto circondati da due oceani; sulla frontiera nord i rapporti con il Canada da sempre sono buoni e stabili; sulla frontiera sud i rapporti con il Messico sono a tutto vantaggio USA. Inoltre gli USA hanno buone risorse interne, hanno un buon rapporto di densità di popolazione (non sono né superaffollati, né disabitati) ed il popolo americano si è venuto formando con l’idea della libertà e della democrazia, anzi con la coscienza di essere il nuovo e vero popolo democratico che non fa le guerre, come invece da sempre è avvenuto nella vecchia Europa.
E l’Italia? Come l’Italia può garantire la sicurezza ai suoi cittadini? L’Italia ha una collocazione geo-politica strategica all’interno del Mediterraneo, ma contemporaneamente la sua debolezza interna non gli permette di controllare adeguatamente le coste; le sue risorse interne infatti sono limitate all’agricoltura e solo ultimamente a qualche settore dell’industria; in più fin dal 1600 è divisa in almeno due grandi zone economicamente differenti (nord e sud); solo al nord confina con altri paesi, e ciò ha rallentato i contatti culturali e commerciali. Dunque l’Italia non può dirsi sicura basandosi solo sulla propria forza interna e la sua sicurezza va perseguita attraverso la logica delle alleanze. Peraltro, il rischio di stringere alleanze con altri Paesi è quello di vedersi limitata la propria autonomia; una strategia possibile è quella di stringere alleanze a largo raggio, con vari paesi contemporaneamente, in modo da potersi trovare in una posizione decisiva, da ago della bilancia nelle relazioni internazionali (in questo senso va letto il grande impegno di Cavour che è riuscito ad inserire l’Italia tra le grandi potenze europee sin dalla guerra di Crimea del 1857).
E la Francia? E la Germania? Ed il Regno Unito? Con l’aiuto dell’atlante considerate le caratteristiche geo-politiche di tali stati e le risorse interne per individuare le linee di continuità che guidano le relazioni internazionali.
In politica internazionale infatti i rapporti tra stati hanno un carattere di forte stabilità nel tempo e nello spazio (stabilità che non varia al variare della politica interna) perché ineriscono ad interessi che sono troppo generali e comuni a tutto il paese.

Esempi:
Gli Usa sono un paese sicuro dal punto di vista geo-politico e dunque sviluppano una politica estera isolazionista: possono cioè pensare da soli al proprio sviluppo senza lasciarsi coinvolgere da altri stati. La strategia isolazionista enunciata da G. Washington (isolazionismo continentale) e da Monroe (isolazionismo mondiale: 1823) è mantenuta di fatto fino al 1943 (tanto che non sono entrati nella Società delle Nazioni, come oggi di fatto non considerano l’ONU una sede di dibattito internazionale e come anche rifiutano l’adesione al Tribunale penale internazionale contro i crimini di guerra); quando con la seconda guerra mondiale gli USA prendono atto che la sicurezza interna dipende dal contesto globale, ecco che la dottrina isolazionista si apre all’interventismo. Per perseguire la propria sicurezza interna, gli USA devono perseguire la sicurezza nel resto del mondo. Ecco la dottrina Truman del ’45 (garantirsi la pace americana). Dal ’45 in poi sono gli USA a dettare le regole delle relazioni internazionali giustificando il loro interventismo con la missione democratizzatrice nei confronti del resto del mondo.
Ancora oggi Bush jr. persegue la sicurezza del proprio paese, controllando il resto del mondo (sul principio del dividi et impera).

Il Regno Unito è un paese sicuro dal punto di vista geo-politico; non ha enormi risorse interne, ma fin dal 1500 utilizza commerci e colonie per mantenere la sua supremazia. In questo senso il Regno Unito dal XIV al XIX secolo è stata la potenza mondiale per eccellenza, interessata alla gestione delle colonie e dei commerci e non tanto alle lotte di potere europee. Anzi il Regno Unito è risultata essere la potenza garante dell’equilibrio europeo: se l’Europa è in pace, l’UK può concentrare la sua flotta nei commerci; se no deve difendersi. Così nei rapporti tra UK e Germania: fino al tempo di Guglielmo I e Bismark (fino al 1890) l’UK godeva di un protratto splendido isolamento che le permetteva l’utilizzo delle flotte per i commerci; dunque Germania ed Inghilterra erano di fatto alleate nella gestione della supremazia in quanto l’UK controllava i mari mondiali, e la Germania invece l’Europa continentale. In questo periodo semmai l’UK doveva guardarsi dall’espansione coloniale francese e dai tentativi della Russia di scendere verso India, Estremo Oriente, Golfo Persico, tanto da allearsi con il Giappone (1902)
Ma con l’avvento di Guglielmo II e la Weltpolitk (1890-1914), cioè con la politica tedesca di espansione coloniale nel mondo extra-europeo, ecco che il primo nemico inglese diviene proprio la Germania.

La Germania: può sentirsi sicura dentro i suoi confini? Dal punto di vista geo-politico è debole, stretta tra Francia e Russia, ma è molto forte quanto a risorse interne e capacità lavorativa; la linea di continuità della politica estera tedesca è quella di garantirsi l’equilibrio in Europa per concentrarsi nello sfruttamento delle sue potenzialità e dunque neutralizzare poi i vicini.
La storia dell’Europa continentale è caratterizzata dalle vicende tra Germania e Francia: laddove i due stati lottano per i bacini della Rurh e per i confini, ecco scoppiare le guerre; laddove la Germani a è unificata e forte ecco emergere la supremazia tedesca. Laddove la Germania viene sottomessa (Versailles 1918) ecco rinforzarsi il desiderio di riconquista del potere.. Ed oggi che la Germania è riunificata e sta pagando con l’Euro la sua supremazia ricostruita popola seconda guerra mondiale, ora che succederà? La Germania stato trainante dell’Europa deciderà da sola come guidare il continente? E riguardo ai Balcani? E nei confronti della Francia?

La Francia si sente sicura dentro le sue frontiere? La tendenza della politica estera francese è quella di controllare il nemico di sempre che è la Germania: Francia e Germania sono in lotta per la leadership continentale, e per questo la Francia nel corso della storia si è scelta la Russia partner per accerchiare la Germania.

La Russia: ha una enorme estensione geografica, ma senza accesso ai mari caldi, ai commerci; ha avuto sempre poca capacità di sfruttare le sue risorse interne e non gode di compattezza etnico-religiosa. La Russia non condurrà mai una politica di equilibrio ma sempre di forza (sia nel poerido degli zar che in quello dei soviet collettivisti) nel tentativo di espandersi verso i mari caldi, dunque attraverso i Balcani, verso il Golfo Persico attraverso l’Iran, verso il Pacifico.

Ricapitolando:
*gli USA sono forti e perseguono il mantenimento della loro supremazia prima attraverso l’isolazionismo e poi attraverso l’interventismo (tuttora oggi);
*la Russia persegue una politica di forza, per espandersi (anche se dopo il 1989 è in crisi);
*la Francia persegue una politica di forza, guardando alla Russia per contenere la Germania;
*la Germania persegue una politica dell’equilibrio quando le conviene (Bismark) e di forza quando crede di esserne in grado (Guglielmo II; Hitler);
*il Regno Unito persegue una politica isolazionista nei confronti dell’Europa e di colonizzazione e commerci nei confronti del resto del mondo;
*l’Italia è debole e dunque persegue sempre politiche di alleanze, magari incrociate, per far alere di volta in volta quelle più convenienti.

Gli elementi ora enucleati caratterizzano a grandi linee la politica internazionale dei vari stati; quali sono stati allora i momenti salienti in cui tali stati si sono confrontati in modo decisivo nei loro rapporti di forza? Ne ricordiamo alcuni:
1648, la pace di Westfalia, alla fine della guerra dei Trent’anni;
1815, il congresso di Vienna, dove le grandi potenze hanno attuato un sistema di sicurezza collettivo detto anche “concerto europeo”: le grandi potenze (UK,Fra,Prussia,Russia) garantiscono pace e sicurezza, ed i piccoli stati devono adeguarsi;
1918 Trattati di pace (Versailles et alii)
1919 Società delle Nazioni; il fallimento di tale organismo decreta il fallimento della logica della democrazia nel quadro internazionale, ed invece la vittoria della logica della forza del concerto europeo;
1945 Yalta (ma già gli accordi delle percentuali tra Churchill e Stalin di Mosca 1943): la divisione dell’Europa, e del mondo, in sfere di influenza in base ai paesi che i rispettivi eserciti russo ed americano hanno liberato dal comune nemico tedesco; corollario alla divisione in due zone, è il principio di non ingerenza: ognuno controlla e gestisce la sua sfera.
1945 ONU, nuovo organismo nato dalla commistione tra il principio democratico (che guida l’Assemblea in cui ogni paese ha diritto ad un voto, e dunque tutti i paesi hanno lo stesso peso) e la logica dell’equilibrio di forza (che guida il Consiglio di Sicurezza i cui cinque membri permanenti –USA, URSS, Francia, Regno Unito, Cina) hanno diritto di veto. Per inciso, la seconda guerra del Golfo contro l’Irak ha segnato nuovamente l’incapacità dell’ONU a compiere la sua missione pacificatrice e di gestione delle controversie internazionali.

Il novecento: schema di storia contemporanea 1815-1994
Voglio focalizzare ora il percorso del breve secolo del ‘900 (prendendo spunto dal saggio “Il secolo breve” di Hobsbawm, ed. Rizzoli, Bergamo, 1998) dividendolo in tre grandi archi temporali:

*100 anni di pace 1815-1914
* 30 anni di guerra 1914-1945 (cfr. la questione balcanica…che ancora non è chiusa)
* 50 anni di guerra fredda 1945-1994 (g.fredda al centro ma 150 conflitti nella periferia del mondo con 23 milioni di morti)

100 anni di pace 1815-1914
-1/11/1814-9/6/1815:congresso di Vienna (concerto di potenze o equilibrio di forza)
-moti per richiedere nuove costituzioni (1820-1830-1848; quale legame con il 1789?)
-piemontizzazione dell’Italia con Cavour (l’unificazione d’Italia avviene attraverso i plebisciti d’annessione al Piemonte); 17/3/1861
-la questione balcanica :1854-56 guerra dei monaci russo-turca e Berlino 1856; intesa dei tre imperatori 1871; crisi bosniaca 1875; Berlino 1878. Poi: crisi bosniaca 1908; guerre balcaniche 1911-12
-Bismark: la politica di forza 1860-1871 e la politica delle alleanze 1871-1890
pol. di forza per l’unificazione tedesca: Sadowa 1866, la Prussica alla guida della confederazione del Nord, Sedan 1870
pol. delle alleanze: 1871 i tre imperatori; Berlino 1878; duplice anti-russa 1879; triplice anti-francese 1881
-Guglielmo II: la Weltpolitik ed il riallineamento 1890-1914
1892-94 amicizia franco-russa; 1902 accordi italo-inglesi; 1904 fra-Uk; 1905 Uk-Russia; 1909 Racconigi Ita-Russia;
1908 guerra italo-turca sulla Libia; 1911-12 guerre balcaniche; 1915 patto di Londra Ita-Intesa


30 anni di guerra 1914-1945
- grande guerra 1914-1918
-Versailles 1918: smilitarizzazione della germania e riparazioni di guerra
-anni ’20:Rapallo (confine italo-yugoslavo) Ginevra ’22 aiuti italo-francesi all’Austria; protocollo Benes sull’arbitrato automatico; crisi della Soc.d.Nazioni; tentativi francesi: Locarno ’25 di schiacciare la D ma con la Soc. d. Nazioni in crisi e ritorno alla politica del cocerto europeo, patto Brinadt-Kellogh, linea Maginot (Italia: ’22 marcia su Roma di Mussolini); piano Dawes e piano Young per le riparazioni tedesche (185 milioni di marchi-oro da pagare fino al 1988); crisi del ’29 (crisi di sovrapproduzione americana)
-anni ’30: appeacement, militarizzazione della Rurh(Germania: Hitler ’30), Patto a quattro ’33, accordi bilaterali: Fra-Urss 1932-35; DR ’36; D-Cecoslovacchia ’36; D-J ’36; D-Ita-J ’36, I-Yugo ‘37amicizia, I-UK ’38 gentlemen, Monaco ‘38(sì ai sudeti tedeschi, purché…); nei balcani: piccola intesa anti-austriaca ’24; intesa balcanica anti-serba ’34; Italia: impero d’Etiopia e d’Albania ’39; patto d’acciaio ‘39
-alleanza USA-URSS contro il nemico comune
-1939-40: Hilter signore della guerra ad ovest e signore della pace ad est-balcani
1940: Fra sconfitta, UK sulla difensiva, USA lontana, URSS non vuole entrare in guerra)
-1940-45:1940 Mussolini apre il fronte sui balcani: è l’inizio del tracollo; 8/9/43 armistizio; 25/4/45 pz.le Loreto
-7 dicembre 1941 Pear Harbor
1942, Washington Patto delle Nazioni Unite
1943: Theran, sulla pace
1944: Mosca, accordi delle percentuali Chiurchill-Stalin
-7 maggio 1945 capitolazione tedesca; 2 settembre 1945 capitolazione giapponese
1945 Yalta, sulla pace: Roosvelt, Churchill, Stalin
1946 Postdam, spartizione della Germania e definizione dei confini (spostamento ad ovest della Polonia)


50 anni di guerra fredda 1945-1994
N.B. latitanza dell’ONU; non c’è una Carta per l’Europa
1947: piano Marshall, rifiutato dall’Urss
1948: elezioni italiane: scelta atlantica e per l’europa occidentale
1948, giugno, blocco di Berlino e ponte aereo americano
1947-49 dalle sfere di influenza ai due blocchi
4/4/49 patto Atlantico (strategia del multilateralismo; art. 5: ogni stato membro decide di volta in volta se aiutare o meno gli altri in caso di aggressione)
1955 patto di Varsavia (strategia del bilateralismo; art. 9: accordi bilaterali con l’URSS; ma il patto di Varsavia è aperto a tutti i paesi che perseguono la pace –leggi:contro la sempre temibile germania)
La NATO: nascita e rafforzamento ‘50; coesistenza competitiva ‘60; distensione ‘70; nuovo riarmo ‘80; nuovo scenario mondiale ‘90.

Crisi
Medio Oriente: conflitto arabo-israeliano 1948 Estremo Oriente: crisi coreana 1950
Sud america: patto di Rio 1947 Africa: conferenza di Bandung 1955
Europa: 1950 CECA (1952 CED)
Kruscev e la de-stalinizzazione 1956 Praga 1956 Suez 1956
Cuba 1962 Polonia 1968 Angola 1975 Afghanistan 1978 congo Am Latina???
100 anni di pace
I cento anni tra il Congresso di Vienna e lo scoppio della grande guerra vedono sia il risistemarsi delle frontiere in Europa dopo gli sconvolgimenti napoleonici, che l’affermarsi delle richieste di costituzioni nazionali (attraverso i moti del 1920,30,48) e dunque una prima formalizzazione degli stati dal punto di vista giuridico (ricordiamo ad esempio l’importanza dello Statuto Albertino del Regno di Sardegna, caposaldo di riferimento per l’attuale Costituzione italiana). Questi cento anni vedono anche le rivoluzioni industriali; ma sostanzialmente la storia dell’Europa è caratterizzata da rapporti internazionali pacifici, rapporti che si evolvono in base ad alleanze. I quattro grandi imperi continuano la loro vita mantenendo la stabilità in Europa: impero Prussiano, impero Asburgico, impero Francese e, sul confine dell’Europa orientale, l’impero Ottomano.
E’ all’interno di tale quadro che si realizza il processo di unificazione italiano (17/2/1861 “Vittorio Emanuele II re d’Italia per grazia di Dio e volontà del popolo”, processo altresì chiamato di “piemontizzazione” dell’Italia in virtù dei plebisciti di adesione al Regno Sabaudo di volta in volta firmati dalle popolazioni durante la risalita dell’Italia di Garibaldi); ed ancora è all’interno di tale quadro che si realizza il processo di unificazione tedesco guidato dalla Prussia di Bismark (1871).
Possiamo delineare più precisamente l’articolazione di tali cento anni, dividendoli in tre parti:

* 1861-1871 la diplomazia di guerra di Bismark, che gli consente di realizzare l’unificazione tedesca e porre la Prussia in una posizione di supremazia nei confronti di Austria e Francia (rispettivamente con le vittorie a Sadowa 1866 e Sedan 1870);
* 1871-1890 la diplomazia di pace di Bismark, che gli consente di rafforzare il ruolo della Germania attraverso il controllo degli altri stati con le alleanze che intesse in Europa (1873 e 1881 le intese dei tre imperatori tedesco-russo-austriaco sul controllo della questione balcanica; 1879 la duplice intesa tedesco-austriaca in funzione antirussa; 1882 la triplice intesa tedesco-austriaca-italiana in funzione antifrancese);
*1890-1914 il periodo del riallineamento delle altre potenze che stringono alleanze al fine di accerchiare e contenere la pericolosa Germania di Guglielmo II (1887 intesa anglo-italiana circa il Mediterraneo;1891-91 accordi franco-russi; 1899-1904 accordi anglo-francesi; 1905 accordi anglo-russi; 1908-09 accordi italo-russi di Racconigi). Evidenziare le varie intese sulla cartina!!!!!!!!!!!!!!
In tale quadro di crescente tensione, seppur ancora pacifica, va inserita la crisi dell’impero Ottomano ed i tentativi di ognuno dei popoli balcanici di Serbia, Grecia, Macedonia e Bulgaria di realizzare le proprie aspirazioni nazionali (ecco le guerre balcaniche del 1911 e del 1912).


30 anni di guerra
E’ con lo scoppio della prima guerra mondiale che tali quattro imperi entrano in crisi: l’impero Asburgico, che già con la sconfitta di Sadowa del 1866 aveva dovuto cedere alle rivendicazioni ungheresi ed accettare la duplice monarchia Austro-Ungarico, di fatto crolla; così anche l’impero Ottomano; la Francia subisce l’invasione delle truppe tedesche (che sono passate attraverso il Belgio neutrale), e l’impero tedesco viene sconfitto e considerato l’unico capro espiatorio dell’Europa. La vittoria è dell’intesa Anglo-Francese cui si era aggiunta l’Italia con il segreto patto di Londra del 1915, mentre sono sconfitti gli imperi centrali Prussiano ed Asutro-Ungarico. Per questo alla conferenza di pace di Versailles del 1918 vengono imposte durissime condizioni alla Germania: smilitarizzazione completa dell’esercito ed obbligo di pagare le riparazioni di guerra (per un totale di 185 miliardi di marchi oro da pagare rateizzati per 70 anni, cioè fino al 1988!). L’intenzione era di mettere la Germania in condizione di non poter neanche lontanamente minacciare l’equilibrio europeo. Sappiamo però che Versailles non garantirà la pace, né in Europa centrale né nei balcani, tanto che –dopo la crisi del ’29- l’avvento di Hilter e le sue rivendicazioni di espansione territoriale verso i Sudeti vengono di fatto tollerate da Francia e Gran Bretagna.
C’è anche da considerare che nei confronti dell’opinione pubblica la politica dell’appeacement assolveva ad un preciso compito: quello di far ricadere sulla politica hitleriana la colpa di un eventuale nuovo intervento contro la Germania, distogliendo così l’attenzione dalle umilianti condizioni che proprio Francia e Gran Bretagna avevano imposto alla Germania nel primo dopoguerra.
Sta di fatto che negli anni trenta la Germania di Hitler ritorna ad essere il paese di cui tutti hanno paura; ma il peccato originale dei paesi europei è stato quello di voler controllare e contenere la Germania attraverso accordi individuali e di non comporre un fronte unico contro il nemico comune (tuttoggi l’Europa è divisa nei confronti della politica estera USA).
In questo senso si inseriscono i vani tentativi degli anni venti e trenta:
*anni venti: riparazioni di guerra e smilitarizzazione dell’esercito; conferenza di Locarno ’25, accordo tra Francia ed Usa Briand-Kellogh; costruzione della francese linea Maginot ;
*anni trenta: politica dell’appeacement (ovvero la politica di non ingerenza nei confronti della Germania: la Germania si riprenda pure i territori sudati di lingua tedesca, purché non ecceda nella sua voglia di rinascere come potenza europea e mondiale); Patto a Quattro Italia-Francia-Inghilterra-Germania del 1933; patto d’acciaio italo-tedesco; conferenza di Monaco del 1938)
Perché vogliamo leggere il periodo 1914-1945 come un periodo unitario, se tra le due guerre emerge quel movimento politico e militare del tutto nuovo che prenderà il nome di nazifascismo?
Per due motivi:
1) perché la sistemazione dell’Europa avverrà solo dopo la seconda guerra mondiale, dopo cioè il superamento del congresso di Vienna del 1815, dopo l’esplosione della grande guerra, e dopo il fallimento del nuovo tentativo di Versailles del 1919. Più precisamente la dichiarazione dell’inviolabilità delle frontiere avverrà solo nel 1975 con la conferenza di Helsinki (solo all’interno del processo di integrazione europea).
2) Perché con le guerre balcaniche del 1911-13 e poi con la guerra del 1914 scoppiano le rivendicazioni autonomiste del popoli balcanici, rivendicazioni che vengono continuamente soffocate prima dai tre grandi imperi (russo, asburgico, ottomano), poi dalla tripode reggenza del principe Paolo (???DA SPIEGARE!!!), e poi ancora dalla dittatura socialista di Tito. Cioè il problema della formazione degli stati in Europa Orientale esplode nel 1914 e non si risolve fino al 1945. Ad onor del vero anche la situazione dei balcani nel secondo dopoguerra, compresa la dittatura socialista di Tito, sarà una soluzione temporanea: il fatidico 1989 rappresenterà definitivamente la possibilità dei suddetti popoli di rivendicare le proprie autonomie…attraverso le guerre bosniache del 1990-94.
Dunque, la prima guerra mondiale era nata nei balcani, con l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca asburgico Francesco Ferdinando, omicidio che si inserisce nel quadro delle rivendicazioni d’autonomia dei popoli balcani (popoli da sempre soggetti ai tre imperi Ottomano, Russo ed Asburgico) Dopo il ridimensionamento dell’impero Asburgico in seguito all’unificazione tedesca realizzata sotto la Prussia, i 13 popoli che finora avevano pacificamente convissuto sotto la corona asburgica iniziano a reclamare la loro autonomia: ed ecco una prima divisione nella duplice monarchia Austro-Ungarica; ma anche i Serbi vogliono assumere un ruolo guida nei balcani ed in questo sono sostenuti dalla Russia. Alla fine della grande guerra, la questione balcanica non è risolta ma semplicemente congelata. Cioè la grande guerra non risolve i contrasti per l’egemonia in Europa, contrasti che si ripresentano nella seconda guerra mondiale. E’ per questo che possiamo leggere il periodo tra le due guerre come un periodo unitario, come una nuova guerra dei trent’anni.
La seconda guerra mondiale, che inizia con l’invasione tedesca della Polonia del 1939, segna l’ascesa ed il declino della Germania: nel 1940 Hitler è il signore dell’Europa perché ha vinto contro la Francia e contro la Russia, mentre l’Italia non gli da fastidio, l’Inghilterra è sotto controllo e gli USA sono lontani. E Hitler è ben attento a non incendiare i balcani, polveriera d’Europa. Ma è a causa dell’intervento italiano contro la Grecia, intervento fallimentare, che Hitler è costretto ad intervenire nei balcani, dividendo le sue forze. L’intervento americano, a seguito dell’attacco giapponese a Pearl Harbur, segna il definitivo crollo del nazifascismo.
45 anni di guerra fredda
Durante la seconda guerra mondiale i due eserciti americano e russo erano di fatto alleati contro il comune nemico tedesco: Hilter è stato sconfitto dall’esercito russo sul fronte orientale (l’Armata Russa giunge a Berlino, Vienna, Belgrado, Budapest), e da quello degli alleati sul fronte occidentale. In base alla divisione dell’Europa, divisione che è avvenuta per il duplice avanzare delle truppe russe ed anglo-americane ed alle vittorie rispettivamente riportate dai due eserciti, ognuna delle due superpotenze tende nell’immediato dopoguerra a coinvolgere nel proprio modus vivendi la parte dell’Europa che ha liberato; la sclerotizzazione delle posizioni militari porta alla divisine dell’Europa e del mondo in due blocchi di influenza. Ad onor del vero la divisione dell’Europa era già stata decisa a Mosca nel 1943 in un accordo segreto tra Churchill e Stalin, il cosìdetto “accordo delle percentuali”, ma bisognerà aspettare la fine della guerra per poterlo realizzare effettivamente.
La fine della seconda guerra mondiale vede dunque realizzarsi un nuovo tipo di equilibrio: non è più il concerto delle potenze europee ad essere protagonista sulla scena mondiale, bensì sono gli interessi americani e russi a definire l’ordine internazionale. Questa lotta che si innesca tra l’America democratica e liberista e la Russia comunista e collettivista, produce almeno tre grandi effetti:
*innanzitutto definisce la spartizione delle zone di influenza, secondo il tacito principio di reciproca non-ingerenza (così gli USA non intervengono nelle crisi Ungherese’56, Polacca’68; e la Russia non interviene negli interessi americani in sudamerica);
*secondo, poi, realizza l’integrazione e lo sviluppo economico dell’Europa occidentale, quale baluardo posto a difesa contro il pericolo russo;
*terzo, sposta l’area dei conflitti dall’Europa (che oramai è pacificata) al resto del mondo (il cosidetto “sud” del mondo nel quale troviamo ben 150 conflitti con 23 milioni di vittime civili).
Voglio dedicare ora particolare attenzione allo sviluppo della NATO ed al processo di integrazione europea, perché tali due temi sono decisivi ai fini della visione sintetica della storia degli ultimi 50 anni.


PROSPETTIVE GEOPOLITICHE DEI BALCANI TRA EUROPA ED ASIA CENTRO-MERIDIONALE

*sintesi dell’intervento del prof. Adolfo Pepe, ordinario di storia contemporanea università di Teramo, in “La comunità internazionale e la questione balcania” ed. Rubbettino, 2002, a cura di Pepe, Iusso, Simoncelli.
*le domande in corsivo tra parentesi sono mie

La questione balcanica è una chiave di lettura dell’Europa, su cosa può essere l’Europa e su cosa può essere l’Alleanza Atlantica. Il prof. Pepe propone 5 elementi di riflessione:
l) La questione balcanica
La questione balcanica nasce dalla sistemazione geopolitica della 2 guerra mondiale; l’Europa è ricostruita economicamente e ideologicamente dagli Usa, sia con il Piano Marshall che con l’integrazione europea che nasce dalla necessità di ostacolare l’URSS (l’integrazione europea nasce così dalla guerra fredda). Gli USA mantengono in piedi l’equilibrio bipolare e l’integrazione europea finquando l’URSS si disgrega: a questo punto gli USA cambiano la loro strategia spostandosi sull’asse “Golfo Persico- M.Caspio”.

2) Lo scenario geopolitica
Nel triennio 1989-1991 avvengono : riunificazione tedesca, disimpegno degli Usa nel teatro europeo, Guera del Golfo, crollo dell’URSS.
Tali avvenimenti sono tra loro collegati: gli USA lasciano il teatro europeo spostando la loro attenzione sul G.Persico per toccare in maniera indiretta ma incisiva gli interessi Giapponesi (che difatti da grande potenza divengono un gigante malato); e sul teatro europeo “delegano” la gestione del potere alla Germania riunificata di Kohl.

3) Guerre balcaniche degli anni ‘90
Le guerre balcaniche nascono da due direttrici: l’allontanamento degli interessi USA dai balcani verso il G.Persico ed i nuovi interessi geopolitici della Germania su Baltico, Adriatico e Russia.
In Europa dunque il baricentro non è più sull’asse “Parigi-Renania”, ma sull’asse voluto da Berlino “Mar Baltico-Mar Nero”.
Intanto la Russi adi Putin sembra non guardare all’Europa nel tentativo di concentrarsi anche lei sull’Asia.

4) Il disegno tedesco
Realizzare, con una forte spinta economica, una vasta area Europa orientale-Europa balcanica sotto l’influenza del marco (o meglio realizzare una moneta europea guidata dal marco; l’unificazione monetaria sarebbe il prezzo che la Germania ha pagato per ottenere la leadership e poter guardare ai balcani?) La Germania dunque con il Patto di Stabilità ha raggiunto la precondizione per creare una vasta area balcanica quale ponte per l’Asia (con il rischio però di entrare in conflitto con gli interessi USA in Asia).
Gli Usa intanto abbandonano il teatro europeo, immaginano i balcani come al confine del nuovo contenitore che ha quale baricentro l’asse “G.Persico-M.Caspio” e pensano ad un intervento nel Caucaso ed in Asia centrale (e la scusa può essere l’imminente Guerra del Golfo?) nell’intento di aprirsi un varco verso Russia e Cina.


5) L’Europeizzazione dei balcani
La sfida per l’Europa è quella di portare la democrazia nei balcani prima che i balcani portino una nuova ondata di conflitti nazionalistici in Europa. Il problema è come importare la democrazia; nel ’45 gli USA hanno importato la democrazia in Europa, e gli stati europei erano preparati a riceverla; ma nei balcani la situazione è tutta da costruire…e l’Europa è debole al suo interno, non ha una politica estera unitaria e forte. Inoltre i balcani sono un territorio strategico per l’espansione della Germania verso l’Asia (e sull’Adriatico?).
Sintesi del testo “Dalla guerra fredda al 2000. Storia e problemi dell’Alleanza Atlantica”, a cura di Maurizio Simoncelli, ed. Archivio Disarmo, Roma, 2000

L’evoluzione del concetto di sicurezza
L’eurocentrismo, il bipolarismo, la nuova minaccia

La fine della seconda guerra mondiale ha segnato l’affermazione tecnologica dell’arma atomica, l’evoluzione della politica estera americana (dall’isolazionismo all’interventismo al fine di proteggere la propria sicurezza), nonché l’inizio di una nuova era centrata proprio sull’egemonia statunitense a discapito del predominio europeo, dell’equilibrio di forze eurocentrico e colonialista sul mondo.
Negli anni ’40, mentre le tradizionali potenze europee vedevano frantumarsi i loro imperi coloniali, il confronto politico USA-URSS assumeva una connotazione così forte da divenire il nuovo asse portante delle relazioni internazionali. La spartizione del mondo in zone di influenza -che si strutturerà nel bipolarismo- diviene il nuovo quadro, il nuovo contesto all’interno del quale cercano l’emancipazione i paesi non-europei, i paesi del cosiddetto terzo mondo.
Nei paesi del terzo mondo il processo di emancipazione è avvenuto attraverso l’assunzione del potere da parte di élite locali, spesso costituite su basi di tipo tribale-dinastico (LACOSTE,Y.: Geografia del sottosviluppo, Milano, Mondatori, 1968).

Il bipolarismo ha garantito sì un lungo periodo di pace nel Nord del mondo, permettendo così il rafforzamento degli stati europei e l’avvio dell’integrazione europea, ma non ha eliminato i conflitti nel resto del mondo: le tensioni sono infatti scoppiate nelle aree della “periferia”, nei Paesi in via di sviluppo (con relativo flusso di armamenti). Tra il 1946 ed il 1995 ci sono stati più di 150 conflitti distribuiti tra Africa subsahariana (38 guerre), Estremo Oriente (37),America Latina (24), Medio Oriente (20), Europa( 15), Asia meridionale (13), con un totale di più di 23 milioni di morti (di cui per due terzi civili) (ATTINA’,F.: I conflitti internazionale. Analisi e misurazione, Milano, Angeli, 1974; CASADIO, F.A.: La conflittualità internazionale dal 1945 al 1983, quaderno n. 6/83 di “Rivista Militare”).
Il confronto tra USA-URSS incentrato in particolar modo sulla corsa agli armamenti e sulla reciproca minaccia è andato scemando alla fine degli anni ’80 con l’implosione del patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica. Di conseguenza la guerra fredda è finita per mancanza del partner sovietico e non per la stipula di accordi di pace od accordi commerciali; la disintegrazione del gigante russo ha semplicemente reso inutile la dimensione bipolare, ed ha reso palese il ruolo degli USA quale unica super-potenza mondiale (per l’URSS si può parlare di superpotenza incompleta dal momento che non ha avuto forza economica per espandersi ed influenzare il mondo, ma solo forza militare monolitica al suo interno). Se durante il confronto bipolare la minaccia alla sicurezza mondiale era rappresentata dagli armamenti, dopo il 1989 la minaccia è rappresentata dalla disoccupazione, dalla crisi economica, dai fenomeni migratori incontrollati, dalla criminalità ed ultimamente dal terrorismo.
Lo scenario mondiale è nuovamente mutato e la sicurezza (americana) del mondo spinge la NATO ad intervenire in aree che non la coinvolgono territorialmente, quali Balcani, Kossovo, Irak.
La NATO cioè opera sempre più come organismo militare nello spirito dell’ONU, anche se l’ONU appare debole dinanzi alla NATO.
Alle soglie del 2000 la NATO si trova di fronte un quadro profondamente mutato rispetto a quello del ’49: la Russia è in sensibile crisi politica ed economica; i Balcani sono fortemente instabili, la minaccia non è più bipolare est-ovest bensì multipolare (cioè le aree di instabilità si sono moltiplicate).
Gli USA dal canto loro hanno allargato il concetto di sicurezza, non limitandolo più ai propri confini, ma estendendolo ai concetti di protezione delle aree, di salvaguardia degli interessi vitali e dello sviluppo dei paesi membri; in altri termini oggi le nuove sfide per la NATO sono rappresentate dalle crisi e dai potenziali conflitti, suscettibili di minacciare la stabilità dell’egemonia americana e successivamente la stabilità europea.
I nuovi interventi NATO “fuori zona” comportano dunque una nuova definizione del ruolo stesso della NATO, che ormai si trova ad essere in concorrenza con quello dell’ONU (nonché della UE: dov’è l’Europa?).

La NATO
Nascita e rafforzamento ‘50; coesistenza competitiva ‘60; distensione ‘70;
nuovo riarmo ‘80; nuovo scenario mondiale ‘90.


Nascita e rafforzamento ‘50
Alla fine della seconda guerra mondiale le relazioni tra i protagonisti della storia del mondo, USA, URSS, Europa non sono paritarie: tra USA ed URSS sono lampanti le differenze economiche, ideologiche e di stile di vita, mentre la vecchia Europa è debole e frammentata. Il resto del mondo non può vantare iniziative economiche e politiche autonome, al di fuori cioè dell’aiuto dei suddetti tre soggetti.
Con la conferenza di Yalta del ’45 (anche è indispensabile menzionare l’accordo delle percentuali di Mosca ’44 tra Churchill e Stalin) il mondo viene diviso in zone di influenza: non siamo ancora alla Guerra Fredda, tanto che gli USA scelgono di aprire anche all’URSS il Piano Marshall (piano di ricostruzione economica e finanziaria); anzi negli ani ’46-’47 non è avvertita la necessità di un’alleanza militare quale sarà la NATO.
Solo dinanzi al blocco di Berlino del ’48 il presidente Truman interpreta l’intervento americano in senso militare, allontanandosi in un certo senso dallo spirito di S.Francisco dell’ONU –1945.
La lotta per l’egemonia politica, economica emilitare che aveva trovato una sua sistemazione a Vienna nel 1815 non è ancora conclusa:
*era stata riaperta dalla unificazione tedesca di Bismark, poi allargata dalla Weltpolitik di Guglielmo II; combattuta nella grande guerra (in cui si confrontarono tendenze pan-serbe e pan-germaniche);

* nuovamente sistematizzata negli accordi di Versailles ’19 e nuovamente messa in crisi negli anni ’20 e ’30 (ad es.il ruolo della Società delle Nazioni; la questione delle riparazioni di guerra della germania; i tentativi di rivedere Versailles: Ginevra ’22, Locarno’25, il Patto a Quattro del ’33, Monaco ‘38);

* nuovamente discussa nelle conferenze per la pace (Theran ’43, Mosca ’44, Yalta ’45, Postdam ’46) e nuovamente in crisi negli anni ’46-49, nonostante la presenza dell’ONU (costituitosi con la conferenza di S.Francisco 25 aprile-26 giugno 1945, con il compito di mantenere la pace e la sicurezza e di promuovere la cooperazione tra le nazioni).

Nel secondo dopoguerra l’URSS vuole guadagnare prestigio (blocco di Berlino e rifiuto del piano Marshall) dimostrando di non aver bisogno dell’America; l’America viceversa vuole contenere l’URSS anche attraverso il rafforzamento dell’Europa quale avamposto contro il “pericolo rosso”; l’Europa manifesta un certo desiderio di autonomia dagli USA quando, con il Trattato di Bruxelles (marzo 1948), Belgio, Francia, Regno Unito, Lussemburgo ed Olanda firmano un trattato di difesa comune dell’Unione Occidentale.
Il blocco di Berlino (giugno 1948- maggio 1949) spinge dunque sia l’Europa che gli USA ad interpretare il contenimento sovietico in senso militare: ecco il trattato di Bruxelles del ’48 e la nascita della NATO il 4/4/49 (trattato di Washington; stati fondatori: USA, Belgio, Canada, Francia, Regno Unito, Islanda, Lussemburgo, Olanda, Portogallo; stati aderenti: Danimarca, Italia, Norvegia).
Al vertice della NATO viene posto:
consiglio atlantico (con funzione politica; è composto dai ministri degli affari esteri);
comitato di difesa (con funzione di sicurezza; è composto dai ministri della difesa);
comitato militare (con funzioni militari; è composto dai Capi di Stato Maggiore);
gruppo di coordinamento (con funzioni strategiche; è composto dai rappresentanti di USA, Regno Unito, Francia).
Nei primi anni di vita (’49-’52) la NATO è preda di contraddizioni tra l’egemonia americana -che scaturisce dalla logica del bipolarismo- e le resistenze europee all’egemonia americana. Sono questi inoltre gli anni della rivoluzione cinese del ’49 (la Cina quale nuovo pericolo rosso) e dello scoppio della guerra di Corea (1950), anni nei quali i pericoli di un nuovo conflitto si presentano al di fuori dell’Europa; ed ancora negli anni 1950-51 gli USA costruiscono basi aeree anti-sovietiche nel Golfo Persico.
I primi anni del secondo dopoguerra sono anni delicatissimi che vedono il formarsi del rapporto bipolare, di una prima integrazione europea attraverso la CECA (1950), ma nei quali non si realizza però il disegno di una “Carta per l’Europa”.
A partire dal 1952 la NATO assume stabilmente la connotazione di sistema di difesa integrato a tutta l’Europa occidentale: nel 1952 aderiscono infatti la Grecia e la Turchia (ovvero dal punto di vista geopolitica la NATO assicura la copertura delle zone del Mediterraneo e del Mar Nero; e nel 1954 alla Conferenza di Parigi aderisce alla NATO anche la Germania Occidentale di Adenauer: è la fine del regime di occupazione militare degli alleati e la fine dell’isolamento tedesco (isolamento che durava dagli inizi del secolo). Immediatamente l’Unione Sovietica rafforza la coesione interna alla propria area di influenza con il Patto di Varsavia del 1955 (n.b. nel 1953 muore Stalin ed inizia la nuova era con Kruscev).
La crisi ungherese del 1956 è il primo momento nel quale sembra possibile un intervento militare della NATO (tra gli altri ricordiamo Pio XII?!!?), ma in realtà viene ora messa alla prova l’intangibilità delle sfere di influenza (anche considerato il potenziale atomico di cui dispongono le superpotenze).

Coesistenza competitiva ‘60
L’Unione Sovietica ha dimostrato con il Patto di Varsavia di poter controllare l’Europa Orientale e di poter penetrare in aree lontane del pianeta come in America Latina; la reazione americana all’interno del quadro della guerra fredda è allora quella della “risposta flessibile” ovvero di un parziale disimpegno nel teatro europeo a causa dell’emergere delle turbolenze nel resto del globo.
Ma all’interno dell’Europa il ridimensionarsi della copertura nucleare USA ravviva le politiche di potenza della Francia di De Gaulle (già il 22 gennaio 1963 veniva stipulato un accordo di collaborazione tra Francia e Repubblica Federale Tedesca, presentato da De Gaulle quale elemento fondamentale per la sicurezza europea; ma poi il Bundestag nel ratificare il trattato di collaborazione ribadisce anche l’impegno atlantico) che porteranno la Francia a ritirarsi dal Comando integrato della NATO nel 1966.
Paradossalmente dunque notiamo che la divisione in zone di influenza ed il successivo inizio della Guerra Fredda hanno guidato i primi passi dell’integrazione europea, mentre la risposta flessibile americana e l’allargamento dell’intervento USA nei vari scenari mondiali hanno permesso il riemergere del contrasto all’interno dell’Europa, specie tra il Regno Unito legato all’America e la Francia che cerca uno spazio di egemonia in Europa (che posso chiamare “il complesso di Napoleone”?!)
“Le spaccature degli anni Sessanta confermano come la NATO -e per altri versi la CEE – stiano attraversando una delicata fase di passaggio: il passaggio dal momento contingente della ricostruzione postbellica e della guerra fredda ad una fase di stabilità internazionale, in cui l’Alleanza Atlantica è chiamata non più a resistere ad un’invasione sovietica ma a diversificare i propri compiti, adottando nuove metodologie di lavoro e di consultazione reciproca”. (A.FEDELI, “La NATO dalla costituzione ad oggi”, in “Dalla guerra fredda al duemila”, a cura di M.Simoncelli, Archivio Disarmo, 2000, p.37)
Tra il 1966 ed il 1968 i vertici NATO compiono una revisione generale della propria strategia, revisione confluita nel “Rapporto Harem” presentato il 12/12/67 alla sessione del Consigli Atlantico di Bruxelles: la prima priorità è di carattere strategico sul Mediterraneo ovvero la guerra arabo-israeliana (pericolosa fonte di instabilità del Medio Oriente anche a causa degli interessi sovietici); la seconda priorità è di carattere politico: la NATO intende proporsi come protagonista nei negoziati sul disarmo.

Distensione ‘70
La corsa agli armamenti che ha caratterizzato il ventennio 1945-65, una corsa senza regole con l’obiettivo della reciproca deterrenza, appare ormai a metà degli anni sessanta come inutile (e dispendioso); è il Segretario di Stato americano McNamara a denunciare i rischi e l’inutilità della corsa al nucleare secondo il concetto della “mutual assured destruction”. Da tale impostazione nasce il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968 ed i negoziati sul controllo degli armamenti SALT1 del 1972 e SALT 2 del 1975.
Contemporaneamente il teatro europeo ha progressivamente perso di importanza dinanzi allo svilupparsi di crisi in altre aree del mondo: Cina, Sud-Est Asiatico, Medio Oriente, India. Daltr’onde la situazione europea si stabilizza definitivamente con la Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE) di Helsinki del 1975. Ad Helsinki i paesi europei e le superpotenze riaffermano solennemente i principi dell’inviolabilità delle frontiere e dell’autodeterminazione delle nazioni, del rispetto dei diritti umani, e dell’impegno di esportare tecnologie nei paesi dell’Est (i cosiddetti “tre panieri”).
Ma la mancanza di risultati concreti nei negoziati sul disarmo frenano gli entusiasmi pacifisti sollevati dalla CSCE ed avviano la stagione della distensione alla sua fase conclusiva; in più nel 1979 l’URSS invade l’Afghanistan (1979-89) e riprende avvio il “doppio binario” americano: quello di rafforzare il propri arsenale
e di dichiarare non-chiusi i negoziati sul disarmo.

Nuovo riarmo ‘80
Negli anni Ottanta vengono alla luce molte delle contraddizioni presenti nel mondo: la rivoluzione iraniana e la fine del regno dello Scià Rheza Palevi; l’assassionio del presidente egiziano Sadat e l’ascesa di Nasser (con il suo sogno di far diventare l’Egitto il paese strategico di cerniera tra Africa e Medio-oriente); l’inizio della lunga guerra Iran-Irak (22/9/1980); l’invasione sovietica dell’Afghanistan 27/12/1979; l’elezione di Reagan che vede il momentaneo fallimento della politica di Carter (in seguito premio nobel per la pace) e l’acuirsi della politica della deterrenza (con il programma di scudo spaziale); il colpo di stato in Polonia del dicembre 1981.
E’ il decennio nel quale gli USA rialzano la “posta in gioco” noi confronti dell’URSS, per indurre l’URSS alla crisi. Ed è il decennio dell’esplosione nucleare di Chernobyl 1986 e della perestrojka di Gorbaciov (sempre 1986) che tenta di guidare la Russia verso un “rinnovamento controllato”. In realtà l’apertura di Gorbaciov porterà nel 1989 al dilagare della protesta russa fino alla dissoluzione della vecchia Unione Sovietica, al ritiro delle truppe dall’Afghanistan ed allo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991.

Nuovo scenario mondiale ‘90
Il blocco sovietico è imploso, gli assetti di Yalta ’45 sono finiti e ridisegnati: cade l’influenza politica e militare dell’URSS sull’Europa orientale, vengono messi in discussione i confini fra gli Stati sia in maniera concordata (la riunificazione tedesca o la separazione Cecoslovacca) che in maniera violenta (come nella dissoluzione della Yugoslavia).
La guerra del Golfo del 1991 costituisce il primo momento di crisi internazionale –dalla fine della II guerra mondiale- in cui USA ed URSS non si trovano in disaccordo. Anzi, l’URSS mantiene una posizione del tutto defilata e gli USA manifestano apertamente il loro progetto di controllare nel mondo la pace, a modo loro (la pax americana).
E la NATO? Ormai non c’è più il pericolo di un’invasione sovietica, e ciò che mette in pericolo la stabilità mondiale non è più individuabile nell’URSS ma gli scenari di instabilità nel mondo sono tra loro separati (così, ad esempio, la minaccia alla stabilità europea è data dalla situazione di distruzione economico-sociale e di instabilità politica dell’Europa dell’Est). La NATO non viene sciolta, bensì si trova ad operare “fuori zona” in operazioni circoscritte volte al ripristino della pace, magari su mandato ONU.
Ed è in tale nuovo scenario internazionale che il presidente Bush sj. nel novembre 1991 propone l’istituzione di un Consiglio di Cooperazione del Nord Atlantico, aperto a tuti gli Sati europe compresi quelli dell’ex blocco sovietico; ed è del 1994 la costituzione di un Partenariato per la Pace, voluto da Clinton: il Partenariato per la pace può svolgere –sul piano strategico e militare- funzioni analoghe a quelle svolte dal Consiglio d’Europa nei confronti dell’Unione Europea

Dunque la NATO ha contribuito lungo tutto il dopoguerra a raffreddare le tensioni interne all’Europa occidentale (specie tra Francia e Germania; cfr. i delicati anni venti) ed a prevenire l’esplosione di nuovi conflitti; ma il ruolo stabilizzatore della NATO in Europa Occidentale ha però impedito la creazione di un sistema collettivo di difesa propriamente europeo (cfr. il fallimento del progetto CED per cui la sicurezza europea non può (ancora) prescindere dalla presenza determinante degli USA.
Da 1991 in poi (con il Consiglio di Cooperazione del Nord Atlantico ed il contemporaneo scioglimento del Patto di Varsavia) la NATO può diventare sempre più il braccio operativo dell’ONU, se agisce in concerto con l’ONU. Di certo la NATO ha coscienza di essere un potente organismo per il mantenimento della pace ed il controllo delle varie aree del mondo, tanto che nel 1997 viene sottoscritto il Founding Act, atto politico di collaborazione tra NATO e Federazione Russa circa gli interventi di sicurezza e politica estera.
Nata dunque come alleanza militare e politica di contenimento al comunismo, oggi la NATO possiede enormi risorse di intervento, ma il suo ruolo è ancora da definirsi e da chiarificarsi specie in relazione alle strutture dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), ed in previsione di interventi nei balcani, in Kossovo, in Irak, in tutte le zone che sono ancora instabili e che gli USA possono ritenere di dover controllare direttamente (per la pax americana).


STORIA E POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA
Mammarella-Cacace, ed. Laterza, Bari, 1998

*elementi di politica estera
*dove fondare i sentimenti di un’Europa unita? Nel dopoguerra? Ma i pilastri: economia, politica, militare, monetaria?
*consiglio d’Europa ‘49
*ceca ‘50
*l’idea d’europa: la posizione usa e la posizione francese
*ced; mec;pac
*l’ atto unico dell’85
*Maastricht ‘92


n.b.: la logica funzionalista che vuole risolvere un problema pratico per volta verso l’integrazione, e le altre logiche dei federalisti che volevano un’Europa federata tra stati sovrani

Quale Europa? Su quali parametri possiamo ragionare per parlare di una Europa unita? La CE è presente in quasi tutti i settori della vita economica (dall’industria all’import-export, all’agricoltura), ma guardando alle politiche dei singoli paesi l’Europa si presenta ancora frammentata.
La moneta unica offre vantaggi in termini di stabilità, di basso costo del denaro e di bassa inflazione, ma spetta alle politiche degli Stati razionalizzare le proprie risorse per sfruttare i vantaggi ed evitare la stagnazione e l’ostacolo di una moneta poco flessibile. Per l’Italia una politica razionale significa stabilità al governo, conduzione di una politica estera unitaria e costante, la non-sovrapposizione tra politica interna ed estera e la capacità di utilizzare i fondi erogati; così nel quinquennio 1988-93 è stato impegnato per il Mezzogiorno il 49% dei fondi comunitari disponibili, ma ne è stato erogato solo il 19%; nel periodo 1994-99 sono stati stanziati circa 60 mila miliardi di lire sempre per il Mezzogiorno, ma ne sono stati utilizzati il 15%.


Sintesi dei testi: “Storia e politica dell’unione europea” Mammarella-Cacace, ed. Laterza, Bari, 1998;”Governo e politiche dell’unione europea” N.Nugent, ed. il Mulino, Urbino,2001

La trasformazione dell’Europa Occidentale
Divisioni storiche in Europa; 50 anni di pace; la posizione dei singoli stati; la creazione delle CEE

Nel corso della sua storia l’Europa è stata caratterizzata molto più da divisioni, tensioni e conflitti che non da comunione di intenti ed armonia di spiriti; il fattore di disunione più ovvio è la lingua, ma possiamo individuare altre fonti di divisine nella religione (scisma d’Oriente -1054; riforma protestante -1520), nella formazione dello stato (così Spagna, Francia e Regno Unito sono sempre esistiti più o meno nella loro attuale forma geografica, mentre Germania, Italia, Irlanda si sono costituiti in un’epoca relativamente recente); ed ancora possiamo trovare divisioni politiche (sistemi di governo e di orientamento ideologico diversi e contrastanti) nonché diversità di natura economica.
Definiamo come “storia dell’integrazione europea” quel periodo compreso tra le guerre mondiali e l’attuale cronaca; ebbene nel periodo tra le due guerre i rapporti interstatali sono stati particolarmente tesi e fluidi: non esisteva nessun sistema stabile di alleanze e nessun chiaro equilibrio di potere. Gli stati cioè si guardavano con sospetto reciproco, alimentando così la reciproca sfiducia. Palese è stata la crisi ed il fallimento della Società delle Nazioni, istituita nel 1919 per garantire la sicurezza internazionale, ma che in realtà non era supportata da intenti ed interessi comuni (così Francia e paesi dell’ex-asburgo volevano utilizzare la S. d. Nazioni per mantenere lo status quo, mentre altri paesi quali Germania ed Italia volevano utilizzarla per mutare l’assetto di Versailles).
In questa sede ci limitiamo a sottolineare che l’Europa degli anni ’20 e ’30 non riuscì a realizzare l’integrazione, non riuscì ad evitare che nazionalismi senza freni né controlli esplodessero nella seconda guerra mondiale (cfr. “30 anni di guerra”).

Nascita di un’idea. 1926-1945
Da Carlo Magno in poi, il primo fondatore dell’Europa, molti hanno pensato ed auspicato l’unità politica, religiosa, culturale e mercantile del continente; questa idea che ha una genesi così lontana nel tempo, ha avuto molti sostenitori tra i pensatori (Kant, Napoleone, Nietzsche, Komensky, l’abate di Saint-Pierre, Mazzini, Hugo; T.Mann: l’umanesimo militante è l’unica risposta alla guerra fratricida), fin quando con l’avvento delle guerre mondiali le motivazioni economiche e politiche hanno prevalso sull’utopia .
E’ del conte austriaco Richard Coudenhove-Kalergi il primo progetto ed il primo movimento per l’integrazione europea: per difendere la supremazia europea da USA, J, URSS il blocco europeo avrebbe potuto saldarsi attorno all’asse Francia-Germania; è questo l’asse strategico all’interno dell’equilibrio europeo, asse che, per ben due volte in mezzo secolo, aveva rotto la pace e che invece secoli addietro aveva dato vita all’unione carolingia.
UK Ma ogni paese segue i suoi progetti, e così lo stesso Churchill sul “Saturday eveneing Post” (15/2/30) scriveva che la missione dell’UK era di favorire l’integrazione europea senza farne parte, perché l’UK fa parte di tutti i continenti.
E’ la grande crisi del ’29 a segnare un importante punto di svolta: alle misure protezionistiche ed all’isolazionismo americano del New Deal di Roosvelt corrisposero altrettanti provvedimenti europei, il che portò alla frammentazione economica, al sorgere del nazionalismo, al tentativo di ogni paese di affrontare la crisi con i propri mezzi.
Ci chiediamo: a)Su quali basi fondare non solo l’idea ma il sentimento d’Europa?
b) quali fattori hanno guidato il processo di integrazione europea?

a) In parte si potrebbe far leva sulla resistenza patita e combattuta dai soldati, dai civili, dai deportati, cioè sulla rilettura della tragica esperienza della seconda guerra mondiale; ma questo è un sentimento vago e poco caratterizzato. Per altro si potrebbe far leva sui progetti di politica interna, ma non possiamo dimenticare come ogni paese ha una sua tradizione culturale, una propria collocazione e connotazione geopolitica, e dunque propri e particolari obiettivi di politica estera ed interna da perseguire. Ciò rende complesso il cammino dell’integrazione europea.
Fra Così la Francia –in questo senso nemica giurata della Germania – era animata nell’immediato dopoguerra dal desiderio di dichiarare la propria indipendenza e ristabilire la propria grandeur, con De Gaulle. Alcuni partiti, socialisti in testa, facevano sì vaghe professioni di europeismo (come pure i gruppi clandestini di resistenza Combat, Cachiers politiques, Liberer et Federer), ma l’europeismo rimaneva espressione secondaria dell’ideologia della Resistenza, ideologia che sarà sprone alla costruzione di ferrovie, elettricità, linee aeree, di rinnovamento istituzionale e sociale.
D In Germania, dato il suo ruolo di aggressore, la Resistenza assunse un carattere elitario, segreto ed ideale attorno al conte von Molte: il suo circolo elaborò un programma europeistache prevedeva il coordinamento ed il controllo dello sviluppoo dell’industria pesante, una moneta unica, l’abbattimento delle barriere doganali –asupicate anche da Keynes- e l’armonizzazione delle politiche fiscali creditizie e dei trasporti. Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo nell’esilio londinese intrapresero studi di collaborazioni economiche e commerciali (ma non politici né militari) che porteranno ancor prima della fine della guerra in Europa alla nascita del Benelux.
I Di tutti i movimenti della Resistenza, quello italiano appare il più convinto ed il più utopico sostenitore dell’unità europea; l’interesse per l’Europa si manifesta già nel ventennio fascista come opposizione alla politica nazionalista ed all’isolamento culturale in cui il regime mussoliniano costrinse il Paese (e che la Chiesa accettò di buon grado visto il suo orientamento alla chiusura culturale dalla riforma del ‘500 in poi).
Tra i vari esponenti ricordiamo Luigi Einaudi che contrapponeva alla Società delle Nazioni una forma di super-stato con diritto di stabilire imposte proprie; ma anche Giovanni Agnelli, Attilio Cabiati e Filippo Turati che criticavano la Società delle Nazioni in nome di un federalismo più politico che istituzionale. E’ Carlo Rosselli nel ’35 a far emergere la necessità di portare l’idea di federalismo europeo a contatto con le masse, idea ripersa poi da Movimento Federalissat Europeo fondato nel ’43.
Tra i partiti antifascisti è il Partito d’Azione quello che si impegnava più assiduamente per la causa dell’unità europea, con all’interno Altiero Spinelli che arrivava a chiedere che nella futura costituzione italiana fossero sanciti come transitori i principi di sovranità di cui dispone lo Stato, ed immaginava l’Unione Europea come una vera e propria rivoluzione politica che richiedeva militanti, strategia e struttura organizzativa al di sopra dei partiti. La sua visione totalizzante della federazione europea limitava però i singoli stati (segnandone così il limite stesso).
Più tardivi all’idea europeista sono la DC ed ovviamente i partiti socialisti che dovevano vincere l’accesa contrapposizione dei comunisti.
Tra la fine del 1944 ed il ’45 i vari movimenti federalisti segnarono il passo: l’attenzione dei vari stati fu rivolta alla ricostruzione; l’idea europea riprenderà sì a correre, ma lo farà sulle gambe delle tariffe doganali e dei mercati economici, sotto la spinta di Washington e della strategia della guerra fredda.

b) Quali fattori hanno guidato il processo di integrazione europea?
Ne individuiamo almeno quattro:
il contesto del mondo bipolare, l’interdipendenza economica, i fattori ideali, gli interessi dei singoli stati.

*Il contesto del mondo bipolare
La divisione del mondo in due zone di influenza ha favorito direttamente ed indirettamente il riarmo, lo sviluppo economico e dunque l’integrazione dell’Europa occidentale - quale baluardo contro il “pericolo rosso”.
Il presidente degli Stati Uniti Truman, inaugura nell’immediato dopoguerra il nuovo corso nelle relazioni internazionali, sostenendo che l’America per garantire la propria sicurezza interna deve poter controllare l’intero scenario mondiale (dottrina Truman…professata ancora da Reagan, Bush sr, Bush jr). Per quel che concerne il teatro europeo, la dottrina Truman persegue l’obiettivo di rinforzare gli stati dell’Europa occidentale, Germania compresa, contro il blocco comunista sia dal punto di vista economico (piano Marshall del 1948) che strategico (NATO del 1949). E’ questo il periodo iniziale della Guerra fredda (cfr. “50 anni di guerra fredda”) periodo che finirà negli anni 1989-1991 con il collasso del gigante sovietico. L’offerta di aiuto americano non voleva però cadere dall’alto, bensì era subordinato alla volontà degli stati europei ci raggiungere una maggiore cooperazione economica fra loro; il risultato fu l’istituzione nell’aprile del 1948 dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE) il cui scopo dichiarato era di costruire una solida economia europea attraverso la cooperazione di suoi membri. Nel 1961 tale organizzazione lasciò il posto all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE), organizzazione aperta all’adesione di paesi extraeuropei.

*L’interdipendenza economica
L’interdipendenza economica deriva in gran parte da tre caratteristiche del mondo post-1945: l’enorme crescita del volume del commercio mondiale; l’internazionalizzazione della produzione (multinazionali); le fluttuazioni e le incertezze associate al regime dei cambi ed ai dispositivi internazionali. Le esperienze belliche stimolarono la creazione di nuove intese economiche e finanziarie che si concretizzarono nella Conferenza di Bretton Woods nel 1944 dove 44 paesi guidati da Stati Uniti e Regno Unito diedero vita al Fondo Monetario Internazionale (FMI per la stabilizzazione delle monete), alla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (ovvero alla Banca Mondiale per grossi prestiti ed investimenti), e successivamente agli accordi commerciali che 23 paesi strinsero (GATT; General Agreement on Tariffs and Trade).
All’interno dell’Europa, gli stati si accorsero di essere sempre più vulnerabili agli eventi esterni e sempre meno in grado di agire da soli: la convinzione che l’abbattimento delle barriere commerciali favorisce l’efficienza e la prosperità dei singoli Stati diede impulso alla creazione del Mercato Unico Europeo (MUE) ed alla marcia verso la moneta unica.

*I fattori ideali
Alla fine del conflitto era opinione comune che per eliminare il pericolo dei nazionalismi ed abbattere le barriere della sfiducia, i singoli Stati avrebbero dovuto iniziare a collaborare insieme nell’ambito di progetti ed organizzazioni comuni: su questa base oltre 750 personalità di tutta Europa si riunirono all’Aia nel maggio 1948 e dal loro congresso lanciarono un appello alle nazioni d’Europa a favore della creazione di un’unione politica ed economica. Ciò promosse la firma dello Statuto del Consiglio d’Europa da parte di rappresentanti di dieci stati, nel maggio 1949:
Art. 1: Scopo del Consiglio d’Europa è di promuovere una maggiore unità fra i suoi Membri al fine di salvaguardare e realizzare gli ideali ed i principi che sono loro eredità comune e facilitare il loro progresso economico e sociale.
Il Consiglio d’Europa avrebbe svolto,e continua a svolgere, una serie di funzioni utili, in particolare nel campo dei diritti umani attraverso la Convenzione Europea su Diritti Umani

*Gli interessi dei singoli stati
I singoli stati perseguivano interessi di carattere interno: per risollevarsi dal punto di vista politico ed economico, era conveniente legarsi ed appoggiarsi agli altri paesi europei.
La spiegazione della natura e dell’evoluzione del processo di integrazione europea va ricercata in larga misura in fattori nazionali (come vedremo nel pessimo paragrafo), cioè nella volontà degli stati di collaborare tra loro (16 stati europei fondano nel 1948 l’OECE-Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, poi divenuta nel 1960 OSCE-Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, cui partecipano anche USA e Canada )
Crollato il gigante sovietico, poi, le politiche estere cambiano di prospettiva: i paesi europei non sono più concentrati unicamente alla difesa, alla sicurezza ed al rafforzamento strategico, ma convogliano invece i loro sforzi verso la stabilità, si preoccupano del benessere dei cittadini, del commercio, della stabilità monetaria, della difesa dell’ambiente. Gli sforzi verso la stabilità europea, sono sforzi di tipo politico: infatti l’industrializzazione ed i rapporti economici possono sì costituire la base di accordi tra differenti paesi, ma non li assicurano né li garantiscono (così tra le due guerre i legami economici non contribuirono gran ché ad avvicinare le nazioni o ad agire da freno sui governi quando si manifestarono divergenze nei loro obiettivi e strategie). E’ la volontà politica che rende possibili accordi di stabilità.
La guerra fredda e la CECA.
Piano Marshall, Patto Atlantico, Consiglio d’Europa, Ceca. 1946-1950

La posizione strategica dell’Europa
“Ancora una volta sembra che la Germania ci minacci una nuova catastrofe. Questa volta non per la sua potenza ma per la sua miseria, non per il suo fanatismo, ma per la sua disperazione” (H. Brugmans, Vingt ans d’Europe. Témoignges 1946-1966, Bruges, 1966, p.17)
Queste parole di Henry Brugmans (già deputato olandese socialista, combattente della Resistenza e futuro primo presidente dell’Unione europea dei federalisti) evidenziano come il problema centrale nel teatro europeo fosse la ricostituzione della Germania.
Lo scivolamento della Germania nell’area comunista avrebbe significato la “perdita” dell’Europa, e quindi americani ed alleati dovevano sfruttare e rafforzare la Germania quale baluardo contro la Russia nella politica di contenimento dei sovietici.
La conferenza di Yalta (1945) aveva rinviato la decisione sulla unificazione della Germania a guerra conclusa, mentre Potsdam (1945) rendeva evidenti le difficoltà di trovare un accordo tra i vincitori sul trattato di pace.
Il ministro degli esteri russo Molotov polemizzava contro gli americani –10 luglio 1946- accusandoli di voler tenere in servitù il popolo tedesco, e di voler smembrare il paese: viceversa la Russia avrebbe mantenuto intatto lo stato tedesco sotto il proprio controllo (sia la Russia che la Francia volevano tenere sotto controllo la perenne minaccia che i tedeschi rappresentavano; in fondo il timore francese era fondato se si pensa che la Francia era stata invasa tre volte dalla Germania nell’arco di settant’anni).
Dinanzi al pericolo di una “comunistizzazione” della Germania, gli USA risposero con la nuova politica estera denominata dottrina Truman: il recupero politico ed economico della Germania diveniva la condizione necessaria ed indispensabile per il contenimento russo e per la ripresa dell’economia europea.
Così gli americani diedero vita alla costruzione del blocco occidentale attraverso:
* il pilastro ideologico espresso nella dottrina Truman,
* il pilastro economico del piano Marshall,
* il pilastro difensivo del Patto Atlantico.
Inoltre per garantire la Francia e per contenere la propaganda dei partiti comunisti, gli USA si impegnavano a mantenere una presenza militare in Europa.
L’urgenza di edificare il blocco occidentale utilizzando le risorse del piano Marshall non permette però di dare spazio all’idea di una costituente europea –tema caro ai federalisti; ed è questo il “peccato originale” dell’Europa degli anni ’40: l’incapacità di pensare ad una Carta per l’Europa (intanto però sotto la spinta di Churchill i vari movimenti europeisti che avevano vita nei singoli paesi venivano invitati a partecipare all’Unione europea dei federalisti, con il primo congresso a Montreux, agosto 1947: odg era il dibattito sul piano Marshall).

Il piano Marshall: l’Europa baluardo contro il comunismo
Mentre il Consiglio d’Europa iniziava a sensibilizzare i rispettivi governi sull’idea di Europa Unita, gli americani con il piano Marshall costringevano i governi europei ad interagire tra loro in tempi rapidi, a mettere insieme le loro risorse, affianco delle quali gli USA avrebbero poi aggiunto gli interventi previsti con il piano Marshall; gli americani perseguivano così vari scopi: impegnare i singoli paesi europei nella propria difesa, secondo quanto le loro risorse gli permettevano; ricostruire economicamente l’Europa creando una economia in espansione attraverso l’integrazione, elevando il livello di vita quotidiano e contrastando così la diffusione del comunismo. A tal scopo era stato creato l’OECE, una specie di ministero europeo per l’economia dotato di poteri per indirizzare le politiche dei governi verso obiettivi comuni. (Da sottolineare la posizione isolazionista del governo UK, sempre refrattario ad unirsi all’Europa continentale e sempre disposto a seguire la propria vocazione internazionale).

La difesa europea: il Patto atlantico
Analogamente alla politica economica, anche per la difesa militare la presenza americana era condizionata all’impegno degli stati europei; così il primo passo è compiuto da Gran Bretagna e Francia che estendono il loro Patto di Dunkerque del ’47 ai paesi del Benelux, dando origine così al Patto di Bruxelles (Gran Bretagna, Francia, Benelux, 1948). Questo patto segnava la fine dell’isolazionismo inglese, nonché maggiore protezione da qualsiasi eventuale aggressione in particolare per la Francia che era così garantita contro la Germania.
Il 4 aprile 1949 dodici stati firmavano il Patto Atlantico che,nonostante la sua fisionomia di accordo prevalentemente militare, diventò lo strumento politico che legava e lega tuttora l’America all’Europa; nel ’49 contro il pericolo comunista, ed oggi per il mantenimento della stabilità nel mondo.
Dunque Piano Marshall, Patto Atlantico e sostegno all’integrazione europea erano tre aspetti della stessa politica americana: quella che mirava a costruire un blocco occidentale in funzione antisovietica ed anticomunista.
Da parte sovietica il piano Marshall era visto come una colonizzazione economica dell’Europa attraverso i dollari, e per questo ogni passo verso l’integrazione europea verrà interpretato da Mosca come una minaccia per l’URSS. In questo senso il Comecon (l’unione commerciale) del gennaio ’49 fu la risposta sovietica al piano Marshall anche se a differenza di quest’ultimo il Comecon prevedeva unicamente lo sfruttamento dei paesi satelliti, e non il loro sviluppo.


L’Europa inizia ad integrarsi: il Consiglio d’Europa del ‘49
Nel dicembre 1947 Churchill promuoveva la costituzione di un comitato internazionale in cui gran parte dei movimenti europeisti fossero presenti: è il congresso dell’Aja (Olanda) 7-10 maggio 1948. L’Aja vide riuniti i maggiori statisti d’Europa: Anthony Eden e Harold Macmillan (futuri primi ministri UK), Konrad Adenauer e Walter Hallstein (futuri cancelliere e ministro degli esteri tedeschi), Paul Van Zeeland, Paul-Henri Spaak, Paul Reynaud, Francois Mitterand, Altiero Spinelli per l’Italia (con anche Quasimodo ed Ungaretti). Dal congresso dell’Aja nasceva il 5 maggio 1949 (a Londra) il Congresso d’Europa con dieci paesi aderenti: Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda e Svezia.
Si trattava di un organo consultivo con lo scopo di “conseguire una più stretta unione fra i suoi membri” specificando però che “le questioni relative alla difesa non rientrano nella competenza del Consiglio d’Europa” (art.1); ed organo consultivo rimarrà. Attualmente è composto da 40 paesi (Eu occ + 16postcomunisti) con 572 deputati; potrebbe essere la cinghia di trasmissione tra Ue, NATO e nazioni dell’Est.
All’interno del Consiglio si scontrano differenti posizioni, tratteggiabili a grandi linee in federalisti ed unionisti. I federalisti (per i quali lo Stato era la causa di tutti i mali della società ed andava dunque superato) sostenevano la gestione comunitaria della difesa, della politica estera, della politica monetaria e di quella doganale attraverso comuni organi legislativi europei esecutivi e giudiziari che avessero il diritto di riscuotere direttamente imposte e di esercitare la loro sovranità sui cittadini europei).
Gli unionisti invece erano sostenitori della piena sovranità dei singoli Stati, per cui le decisioni dovevano essere adottate all’unanimità (ed in realtà i governi degli stati si ritrovavano più con gli unionisti che non con i federalisti).
Posizione mediana tra federalisti ed unionisti, e posizione che porterà il Consiglio a produrre risultati effettivi, è la posizione funzionale che prevedeva una integrazione graduale per settori e per funzioni specie in ordine e scelte di natura economica e commerciale, nella convinzione che a queste sarebbero seguite l’integrazione politica e militare. In questo filone è la proposta di Robert Schuman per la creazione della CECA (“L’Europa non verrà creata tutta in una volta e secondo un unico progetto generale, ma verrà costruita attraverso realizzazioni concrete dirette a creare solidarietà reali” R.Schuman).

Il funzionalismo di Schuman, Monnet e la CECA
I sei stati che nel 1951 firmarono il Trattato di Parigi per fondare la CECA e che nel 1957 firmarono i Trattati di Roma per fondare la CEE e l’Euratom, sono:
Francia, Germania occidentale, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi ed Italia.
Evidentemente ciascuno di essi giudicò che i benefici dell’integrazione, rispetto a quelli della semplice cooperazione, avrebbero abbondantemente compensato quello che appariva come il maggiore svantaggio: una certa perdita di sovranità. I Paesi bassi erano vulnerabili (erano stati invasi durante entrambe le guerre mondiali); l’Italia cercava opportunità per risorgere dal ventennio fascista, dal pericolo comunista e dalle difficoltà economiche; la Francia aveva quale obiettivo l’eterno contenimento della Germania, oltre alle difficoltà economiche postbelliche; la Germania aveva necessità di reinserirsi nel quadro internazionale dal punto di vista politico ed economico.
Gli altri stati europei invece mantenevano differenti atteggiamenti circa le CEE.

Tra il settembre 1948 ed il maggio 1949 veniva formulata ed approvata la nuova Costituzione tedesca e nell’estate del ’49 veniva eletto il nuovo Parlamento e costituito il nuovo governo;la riforma monetaria del ’48 aveva risanato l’inflazione e la D occidentale iniziava ad essere un unico blocco (come previsto dall’unificazione delle zone di influenza di UK ed USA). La prospettiva della riunificazione tedesca e del successivo riarmo era vista con preoccupazione dalla Francia che fece di tutto per evitarla: propose, la Francia, la separazione della Ruhr ed il protettorato francese sulla Saar, così da controllare l’approvigionamento di carbone. Ma entrambe le superpotenze volevano una Germania dalla loro parte, ed il più possibile unita.
Nel luglio 1948 la direzione della politica estera francese passa da Bidault a Schuman, che inaugura l’allineamento francese agli USA e dunque una svolta nella prospettiva francese : la Francia da grande oppositrice diviene la grande sostenitrice dell’integrazione verso la Germania.
La zona della Ruhr era di vitale importanza sia per la Germania, che da sempre la utilizzava per il proprio enorme sviluppo interno (specie adesso nella ricostruzione), sia per la Francia che la desiderava per poter raggiungere una situazione di parità economica con il nemico di sempre. E’ in questo contesto, nel qual entrambe le nemiche cercano di rafforzare la loro posizione, che prende vita il piano Schuman portato avanti dall’eclettico Monnet (Monnet era un industriale francese, figura importante della Società delle Nazioni, geniale organizzatore degli aiuti americani all’UK nel secondo conflitto mondiale, nonché consigliere e mediatore tra i leaders europei -De Gaulle compreso).
Monnet nella riunione sulle quote di produzione fissata del 10 maggio 1950 a Londra, proponeva la costituzione di una autorità dotata di poteri sopranazionali che avrebbe gestito, controllato e commercializzato la produzione di carbone ed acciaio di Francia e Germania, e di quei paesi che avessero accettato.
Gran parte dell’impulso iniziale alla creazione della CECA venne da parte di due francesi, Jean Monnet e Robert Schuman. Entrambi erano ardenti sostenitori dell’integrazine europea ed erano convinti che l’OECE (Organizzazione europea per la cooperazione economica-1948) ed il Consiglio d’Europa (Londra 1949, creato sulla spinta del congresso dell’Aia del ‘48) non potevano fornire la spinta necessaria. Nel 1950 Scuman nella sua storica dichiarazione sosteneva che “L’Europa non si farà d’un tratto, né secondo un unico piano generale: essa si farà con delle realizzazioni concrete, creando anzitutto una solidarietà di fatto” e Monnet “Le proposte Schuman forniscono una base per la costruzione di una nuova Europa mediante la realizzazione concreta di un regime sopranazionale entro un’area limitata ma prioritaria di sforzo economico (…) Il primo principio indispensabile di queste proposte è la rinuncia alla sovranità nazionale inun campo limitat ma decisivo”
Monnet nella riunione sulle quote di produzione fissata del 10 maggio 1950 a Londra, proponeva la costituzione di una autorità dotata di poteri sopranazionali che avrebbe gestito, controllato e commercializzato la produzione di carbone ed acciaio di Francia e Germania, e di quei paesi che avessero accettato.
Tale progetto veniva sostenuto anche dalla Germania occidentale di K.Adenauer, e ad esso aderirono anche Italia, Belgio, Lussemburgo e Pesi Bassi: nell’aprile 1951 veniva così firmato il Trattato di Parigi che istituiva la CECA.
L’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio realizzava non solo una zona di libero scambio, ma gettava le basi per un mercato comune per alcune materie prime, quali carbone, coke, minerali ferrosi, acciaio, rottami metallici. A partire da tale Trattato, cioè, si sperava di migliorare le condizioni dei lavoratori e di armonizzare le politiche commerciali dei vari paesi. Le principali istituzioni create per il funzionamento della CECA, di tipo sopranazionale, sono quattro:
*Alta Autorità (composta da 9 membri di cui uno per ogni stato): aveva autonomia decisionale circa proibizione delle sovvenzioni e degli aiuti economici statali; iniziative per contrastare le pratiche restrittive; la promozione della ricerca; il controllo dei prezzi.
*Consiglio dei ministri : compito principale è quello di armonizzare le azioni dell’Alta Autorità e quelle dei governi.
*Assemblea parlamentare: il cui obiettivo è di fornire un contributo democratico alle procedure decisionali della CECA.
*Corte di giustizia: per dirimere le controversie fra gli stati membri.
A questi si affianca il Comitato consultivo, composto da produttori, lavoratori ed altre categorie, al fine di emettere pareri.
Nei primi anni di attività la CECA venne considerata un successo economico, con abolizione di dazi, barriere commerciali, assistenza alla ristrutturazione delle industrie, scambi interstatali; la CECA attraverserà però il suo primo momento di crisi a seguito delle importazioni a basso costo di petrolio che produssero negli anni 1958-59 eccedenze nella produzione di carbone; il problema vero era, però, la gestione di un’effettiva e coordinata politica energetica comunitaria, e non tanto la crisi carbonifera.

Così tra il giugno 1950 ed il marzo 1951 nasce la CECA tra Francia, Germania, Italia, Benelux. Non vi aderisce l’UK che non vuole ingerenze interne. La CECA è costituita da:
*un’Alta Autorità composta da 9 membri (2D, 2Fra, 2Ita, 1Lux, 1B, 1 Ol),
*un’Assemblea di controllo di 78 membri (designati dai parlamenti nazionali),
*una Corte di giustizia (7 giudici e 2 avocati generali),
*un Comitato tecnico consultivo di 51 membri (provenienti da sindacati ed associazioni padronali e dei consumatori).

CED, una sconfitta annunciata. 1950-1954

Nei primi anni ’50, sullo sfondo della guerra fredda e dello scoppio della guerra di Corea, molti uomini politici ed esperti militari ritenevano necessaria una maggiore unione dal punto di vista difensivo, specie per integrare la Germania Occidentale che non faceva parte della NATO.
E’ ancora un francese, il primo ministro R.Pleven, a proporre la creazione di un esercito europeo sottoposto all’autorità delle istituzioni politiche di un’Europa unita. Proponeva cioè la formazione di una Comunità Europea di Difesa, ed una Cominità Politica Europea.
Gli anni tra il 1950 ed il 1954 sono anni cruciali per i tentativi diretti ad imprimere una svolta federalista all’integrazione europea; dopo la CECA le discussioni circa la Comunità Europea di Difesa (in cui l’Italia gioca un ruolo da protagonista), costituiscono una sorta di spartiacque nelle vicende della costruzione europea.
La politica espansionistica russa in Europa ed in Corea avevano spinto l’amministrazione Truman a considerare indispensabile l’integrazione della Germania nella struttura militare atlantica; ma la suddetta integrazione presentava molteplici aspetti problematici:
-innanzitutto gli USA volevano rimanere al comando dell’alleanza atlantica e non volevano investire (sprecare) forze per ricostruire militarmente la D; una massiccia presenza USA in Europa presentava grande dispendio di risorse, ma un esercito unicamente europeo rappresentava una preoccupazione ancor maggiore per gli USA,
-la costituzione di un esercito tedesco era (ovviamente) ostacolato dalla Francia;
-Adenauer affermava che la partecipazione tedesca alla federazione militare europea poteva anche avvenire all’interno di un esercito europeo (e dunque all’interno di un controllo europeo sulla Germania).
La situazione cambiò a seguito dello scoppio della guerra in Corea del 25giugno1950: gli USA vedevano la guerra di Corea come il preannuncio di un’offensiva sovietica in Europa, facendo leva sulla Germania orientale. Per questo cambia (improvvisamente?) la strategia americana ora denominata National Security Council (Nsc): la priorità è il contenimento sovietico fino all’Elba,e dunque in pieno territorio tedesco.
Il dibattito circa l’esercito europeo porterà a due soluzioni di massima:
-il piano Acheson, americano: esercito integrato sotto la guida degli americani, con forte presenza americana e con presenza di unità tedesche;
-il piano Pleven, francese: esercito integrato sotto la guida di uno stato maggiore internazionale (sulla falsariga della CECA).
Il 15-26 sept 1950, al Consiglio Atlantico di New York il segretario di stato americano Acheson propone il piano conosciuto poi come “piano Acheson”: costituzione di una forza integrata per l’Eu Occ. con utilizzazione di unità tedesche per arrivare a proteggere l’Elba, con considerevole presenza di soldati americani, ed ovviamente il tutto sotto il comando americano (proposta in realtà già presentata da Churchill al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 11 ago 1950) . Tale proposta è sostenuta dall’Italia con Sforza (min. esteri), ma contrastata nettamente dalla Francia di Schuman il quale presentò una controproposta (ideata nuovamente da Monnet, l’inventore della CECA) poi conosciuta come il “PianoPleven”: la costituzione di un esercito europeo di 6 divisioni, con stato maggiore internazionale agli ordini del comandante in capo delle forze atlantiche, il tutto posto sotto il controllo di una autorità politica europea. Cioè il piano Pleven immagina una organizzazione parallela a quella della CECA. La Germania avrebbe contribuito con delle truppe, senza però avere un proprio esercito, e dunque sarebbe rimasta in una posizione subalterna rispetto agli altri paesi.
Ma: l’esercito europeo di uno stato inesistente può contribuire nel tempo a creare proprio quello stato?
Il consiglio atlantico del 18-19 dic 1950 a Bruxelles si concluse con un compromesso: costituzione di una forza integrata con la possibile partecipazione di truppe tedesche (ma non venne fatta chiarezza tra piano Acheson e Pleven), sotto la guida del generale Dwight Eisenhower che stabilì il suo quartier generale (SHAPE) a Rocquencourt, vicino Parigi.
Il problema della partecipazione o meno di truppe tedesche fu dipanato ancora una volta da Monnet il quale convinse Eisenhower che l’unità europea era più importante di qualche soldato tedesco (presenza questa che avrebbe potuto minare la suddetta unità europea, specie in relazione ai contrasti con la Francia).
Sarà a questo punto l’Italia a proporre, al fianco dell’esercito europeo, la costituzione di una Assemblea parlamentare, prototipo di quella che ventott’anni dopo sarà il Parlamento Europeo; la proposta federalista che nasceva da Altiero Spinelli veniva fatta propria da De Gasperi il quale la presentava con successo al Consiglio d’Europa (10 dic 1951): l’Assemblea parlamentare doveva studiare la costituzione di un organo rappresentativo eletto su basi democratiche, i poteri ad esso conferiti e le modifiche quindi da apportare al Trattato per garantire una adeguata rappresentanza degli stati.
Gli istituti previsti dalla CED erano: un collegio di commissari, un’assemblea parlamentare, un consiglio dei ministri, ed una corte di giustizia. L’impianto generale era di una Europa federale, la struttura era ricalcata dalla CECA ed il comando militare rimaneva agli ordini del comando supremo unico del patto atlantico; la Germania infine vi partecipava ma senza avere possibilità di costituire un proprio esercito.
Ma il progetto federalista studiato dalla Assemblea non fu firmato proprio da Italia e Francia, vanificando gli sforzi esercitati sinora; l’Italia era presa dal dibattito interno sulla “legge truffa” del 1953 e con le successive elezioni del giugno ’53 De Gasperi esce dalla scena politica. In Francia, presa dalla tragica guerra in Indocina, si faceva sempre più forte l’idea che la CED potesse riarmare la Germania e disarmare la Francia. Solo nel ’54 il primo ministro francese Pierre Mendes-France riuscì ad ottenere l’accordo di dividere il paese asiatico lungo il 17° parallelo tra nord e sud (Il 5 marzo 1953 intanto era morto Stalin ed in Russia iniziava il disgelo), mentre sul fronte dell’Europa unita Mendes-France richiedeva uno slittamento di otto anni per l’entrata in funzione degli organismi sopranazionali previsti, nonché l’integrazione delle forze armate limitata al solo territorio tedesco.
Dall’altra parte dell’oceano, il nuovo segretario di stato americano Dulles premeva in maniera aperta acciocché Francia e Germania non generassero altre tensioni in Europa, minacciando una revisione lacerante della politica estera americana; cioè dati gli ostacoli frapposti dalla Francia alla politica americana, gli USA avrebbero da ora in avanti guardato alla Germania quale principale partner europeo.
La fine definitiva del tentativo di una Europa unita secondo la CED fu segnata il 30 ago 1954 con una votazione non sul merito ma sulla procedura circa il dibattito sul Trattato per l’Europa unita.

Tra le cause che determinarono la sconfitta del CED ricordiamo il ritorno di sentimenti nazionali negli stati che, nuovamente forti, non erano disposti a rinunciare alle loro prerogative; ricordiamo inoltre l’appellativo di “Europa vaticana” a causa dell’estrazione politica e religiosa dei tre sostenitori di questa causa: De Gasperi, Schuman ed Adenauer.


Dunque entrambi i progetti immaginati da Pleven (CED e Comunità Politica Europea) non videro la luce per varie ragioni: il disagio perdurante all’idea di una Germania riarmata; la preoccupazione francese di vedersi sottrarre il controllo esclusivo delle proprie forze militari; dubbi circa l’efficienza di una forza integrata; inquietudine per la mancata adesione del Regno Unito.
Venne allora adottato un approccio alternativo meno ambizioso: aderirono al Trattato di Bruxelles (1948 tra Francia, Regno Unito e Benelux) anche Germania ed Italia,e tutti i sette i paesi si accordarono per incorporare le nuove disposizioni in una Unione dell’Europa Occidentale (UEO) a carattere consultivo, che permise il riarmo della Germania Occidentale e la sua adesione alla NATO.
Fallito il piano di difesa come, fu accelerato il processori integrazione economica con la risoluzione di Messina 1955 e successivamente con i Trattati di Roma del 1957 che diedero vita a CEE ed Euratom. Con la costituzione della CEE, la Comunità si prefigge il compito di promuovere lo sviluppo armonioso delle attività economiche, un’espansione continua ed equilibrata, una aumento della stabilità, un incremento del livello di vita e più strette relazioni tra gli stati che la compongono (cfr. art 2 del Trattato CEE). Il mercato prevedeva:
-eliminazione di tute le restrizioni tariffarie sugli scambi interni;
-istituzione di una Tariffa Esterna Comune sulle importazioni (base per un apolitica commerciale comunitaria);
-un capitalismo di libero mercato, liberale, non interventista seppure guidato da misure di intervento e gestione centralizzate (quali PAC e politiche sociali).
Come per la CECA, sia la CEE che l’Euratom avevano erano composte da quattro istituzioni principali:
*Commissione (propone le politiche ed ha alcuni poteri decisionali);
*Consiglio dei ministri (organo decisionale);
*Assemblea (organo consultivo);
*Corte di giustizia (organo giudiziario).

La scommessa del mercato comune (1955-1957)

Il tentativo di unificare l’Europa per mezzo della CED era fallito principalmente per causa della Francia; ora il premier francese Mendes-France doveva evitare il rischio di isolazionismo per la Francia: ed ecco che al Consiglio d’Europa del 20 sept. 1954 avanza proposte di cooperazione europea prive, beninteso, di qualsiasi carattere di sopranazionalità. Si dichiarò persino aperto al riarmo tedesco purché realizzato con modi e tempi concordati.
Dall’altra parte dell’oceano gli USA premevano per rafforzare la sicurezza dell’Europa continentale – UK compresa – e la coesione della stessa, al fine di rafforzare la loro propria sicurezza; e ciò implicava il riarmo tedesco e l’inclusione della Germania nella NATO.
E’ in questo contesto che il ministro degli esteri britannico Eden propose l’allargamento del Patto di Bruxelles del 1948 (Fra, UK, Benelux) alla partecipazione di Italia e Germania. Così veniva inclusa in modo attivo la presenza dell’UK e riconosciuta la sovranità (e la pari dignità) tedesca. Nasce così l’Unione europea occidentale (UEO) nell’ott. 1954. E la Germania poteva costituire 12 divisioni, una aviazione di 75.000 uomini ed una marina di 25.000.
La novità della UEO rispetto alla CED è il ruolo nuovamente attivo dell’UK, ed il nuovo ruolo strategico della D quale interlocutore privilegiato tra Europa ed USA.
Ma i tempi ancora non erano pronti per la costituzione –od almeno la progettazione di un’Europa a sette: l’UK rimane sempre gelosa della propria indipendenza.
Così si pensava a qualcosa che potesse unire almeno gli altri sei stati; e l’intuizione è ancora una volta del padre della CECA: Monnet.
Monnet propose lo studio per l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare, dell’atomo. Nel frattempo il ministro degli esteri belga Spaak nei suoi colloqui preparava il rilancio europeo in materia economica attraverso il libero scambio di uomini e merci ed attraverso l’abolizione delle tariffe doganali (cioè la fusione delle economie delle singole nazioni mediante la creazione di un grande mercato comune e l’armonizzazione delle politiche sociali).
L’appuntamento per il rilancio dell’Europa su questo duplice binario (economia e ricerca sul nucleare) fu fissato a Messina 1-2 giugno 1955, e da qui partirono i negoziati che portarono al convegno di Venezia (29-30 maggio 1956) circa le bozze per la creazione di un mercato comune europeo e la costituzione di un’organizzazione nel campo dell’energia nucleare, ed approdarono poi ai Trattati di Roma del 25 marzo 1957 (in una giornata piovosa, nella sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio): il primo documento istituiva la CEE attraverso il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli stati membri, mentre un secondo documento istituiva l’Euratom.
La CEE si sarebbe costruita nel tempo attraverso linee d’azione graduali circa l’unione doganale, la libera circolazione di cittadini, servizi e capitali, nonché di politiche comuni nei settori agricolo e dei trasporti, e la creazione di nuove risporse mediante la valorizzazione delle regioni sottosviluppate e delle forze di lavoro inutilizzate. Il Trattato entrava in vigore il 1° gennaio 1958 e veniva accolto gradualmente fino al 1969.
Il Trattato istitutivo dell’Euratom si proponeva l’obiettivo di coordinare e sviluppare l’attività scientifica, tecnica e commerciale nel campo dell’energia nucleare.
Sul piano istituzionale con una convenzione sottoscritta insieme ai due trattati si procedeva alla creazione di:
-un Consiglio dei ministri con distinte funzioni per CEE, CECA, Euratom;
-tre organismi esecutivi (rispettivamente per la CEE; CECA; Euratom);
-un’Assemblea comune con funzioni di controllo;
-una corte di giustizia unica (in caso di controversie);
-numerosi organismi consultivi tra cui il Comitato economico sociale, la Banca Europea, il Fondo sociale europeo, il Comitato monetario.
L’organo centrale comunque era il consiglio dei ministri che assommava le competenze di organo legislativo ed esecutivo.

Sottolineiamo a questo punto le differenti posizioni di Francia ed USA circa la formazione della CEE e dell’Euratom: la Francia infatti tendeva a voler costruire la bomba atomica per fini militari al fine di contrapporsi in modo deciso agli USA: per questo i governi di Parigi, Bon e Roma strinsero accordi segreti per la costruzione dell’atomica, accordi poi lasciati cadere con l’arrivo al potere del generale De Grulle. Viceversa gli USA vedevano nell’Euratom una loro leadership indiretta attraverso la Germania. Ciò che sciolse le resistenze francesi alla firma dei due trattati, fu la crisi di Suez del ’56: Nasser nazionalizzò il canale, e visto che gli USA non sarebbero intervenuti, toccava a Francia e Gran Bretagna organizzare una spedizione, spedizione che si dimostrò fallimentare. Ciò dimostrò in modo drammatico il declino dell’influenza europea sullo scenario mondiale e l’umiliazione di Suez spinse la Francia a legarsi all’Europa.
Quanto al mercato comune, l’America non poteva non vederlo come il frutto (o la continuazione) dell’obiettivo ricercato attraverso il piano Marshall.

Come i singoli paesi si avvicinano al 1°gennaio 1958 (entrata in vigore dei trattati di Roma)? L’Italia – come al solito –è impreparata dal punto di vista industriale, agricolo e finanziario; inoltre durante la crisi di Suez una politica di stampo privatistico del presidente dell’ENI Mattei aveva spinto l’Italia ad una posizione ambigua al fine di costituire un asse privilegiato italo-americano ed ottenere campo libero per l’espansione economica nel Mediterraneo (neo-atlantismo).
Invece la Germania di Adenauer aveva compreso che la carta dell’integrazione economica avrebbe rafforzato il legame con il blocco occidentale. La Germania era mossa all’integrazione da ragioni prevalentemente economiche. Viceversa la resistenza della Francia alla CEE era mossa da ragioni principalmente politiche (alle quali magari si possono sommare i timori per la concorrenza tessile italiana, ed i timori italiani per la concorrenza meccanica tedesca).
Comunque il “fattore convenienza” e la rete di interessi creatasi attorno agli accordi economici si dimostreranno vincenti (considerando anche la positiva congiuntura internazionale favorevole all’espansione dell’economia e della stabilità monetaria).
Rimane una costante l’opposizione dell’UK alla vita comunitaria; ed è naturalmente ostile alla CEE la posizione della Russia, che vede nell’assetto comunitario un elemento di ulteriore divisione e di discriminazione nei confronti del Comecon e del blocco orientale in generale; solo Gorbaciov compirà passi di apertura, prima del crollo.
Ma una Europa unita economicamente e spezzettata politicamente non fa comodo all’America? Viceversa una nuova Europa Carolingia non sarebbe un pericolo per la leadership americana?






L’Europa secondo De Gaulle. (1958-1969)

Nel 1958, in conseguenza della sollevazione dei coloni e di parte dell’esercito francese in Algeria (maggio ’58) , torna al potere come primo ministro e poi come presidente il generale Charles De Gaulle: la sua politica di grandeur mirava a consolidare la posizione della Francia sia nella CEE che nella NATO con un posto di leadership (cosa che gli altri stati ovviamente subodorarono ed impedirono bocciando sia la proposta di una europa confederale, sia quella di un direttorio “franco-anglo-americano della NATO).
Parallelamente l’UK continua nella sua politica fondata sull’assunto “Great Britain is of but not in Europe” e lancia una alternativa alla CEE con l’EFTA (european free trade association) tra UK, Svezia, Norvegia, Danimarca, Svizzera, Austria, Portogallo, alternativa che metteva in evidenza come l’UK ormai non potesse presentarsi come una potenza mondiale ma solo regionale.
Il quadro politico cambiò radicalmente con l’arrivo di John Kennedy alla Casa Bianca: nella sua politica della “nuova frontiera” i rapporti tra Europa e Stati Uniti furono al centro del duplice riesame sia (1) del processo di liberalizzazione commerciale tra le due sponde dell’Atlantico che (2) di una più stretta integrazione del potenziale militare all’interno della NATO sotto il controllo americano. Ma se le relazioni commerciali potevano prefigurare risultati ambivalenti in quanto a vantaggi per il grande mercato europeo e svantaggi per la competizione che questo comportava nei confronti dell’America, sul fronte militare era proprio l’integrazione che UK e Francia rifiutavano. La Francia infatti continuava a mirare all’indipendenza attraverso la sperimentazione e la produzione dell’arma nucleare (1960-61: 4 test nel Sahara algerino) per la costituzione della propria force de frappe(forza d’urto).
Con il concetto di nuova frontiera, Kennedy di fatto voleva considerare l’Europa e la sicurezza europea come un problema americano, concezione che De Gaulle respinse sempre con fermezza: l’Europa doveva essere in grado di difendersi autonomamente.
Con una certa approssimazione possiamo affermare che De Gaulle e Kennedy presentano due concetti di Europa decisamente differenti, anzi antitetici: una Europa francese, una terza forza, il più possibile autonoma dagli Usa, da raggiungere persino con l’avvicinamento tra Fra e D; ed una Europa legata all’America attraverso la NATO, l’UK,ed i rapporti commerciali .
Kennedy intanto continuava a perseguire la sua idea di Europa, lanciando nel 1962 il progetto di una “Associazione Atlantica” ovvero di una partnership politica, militare, economica che doveva da una parte agevolare le relazioni commerciali, e dall’altro integrare le forze militari europee dentro (e sotto) la NATO. A fronte di una politica così “aggressiva”, De Gaulle pone il veto all’ingresso nella CEE dell’UK, il che equivaleva ad un “no” a Kennedy, e stringe il Trattato di collaborazione con Adenauer (Bonn, 22/1/63) dichiarandosi disponibile persino al riarmo atomico della D. L’amicizia Fra-D era ora vista come l’architrave della sicurezza europea.
La risposta italiana in politica estera doveva significare a questo punto l’appoggio ad una delle due concezioni d’Europa: e Fanfani opponendosi ad un “direttorio franco-tedesco” si allinea sulle posizioni di Kennedy.
Il “no” di De Gaulle a Macmillan ed a Kennedy segnò un momento di svolta nella vita internazionale: segnò la fine del progetto francese “Europa terza forza”, e rinviò sine die il progetto kennediano di una partnership economica a guida americana (pur rimanendo in vigore la leadership americana sul piano politico e militare). In realtà mentre De Gaulle perseguiva il disegno di una nuova Europa autonoma, indipendente, antesignana di quella attuale, Kennedy perseguiva il disegno pseudo-imperialista di una Europa controllata dall’America.
Tra gli altri problemi ricordiamo come i lavori della CEE, patrocinati da Hallstein, si arenarono sul finanziamento della politica agricola e sull’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo: la Francia si oppose alla creazione di una “cassa comune” costituita dai proventi dei diritti doganali e dei prelievi agricoli dei singoli paesi, cosa che necessariamente comportava una estensione dei poteri del Parlamento. L’opposizione di De Gaulle non solo portò la Francia ad uscire dalla CEE nel 1965, ma persino dall’Alleanza Atlantica della NATO.
La crisi aperta dalla Francia vide la CEE costretta al compromesso pur di non naufragare; così la Francia aveva allontanato ancora una volta il problema della votazione a maggioranza in seno alla CEE, lasciando invariato il sistema di votazioni all’unanimità.
Intanto, dopo sei anni, l’UK di Wilson chiede nuovamente di entrare nella CE, abbandonando la strategia dell’EFTA; come da prevedere De Gaulle ribadì l’opposizione nel 1967. L’anno dopo sopraggiungeva la contestazione, la primavera di Praga, l’autunno caldo, in cui De Gaulle si dimostrò intransigentemente sapiente nel riportare la Francia alla normalità. Nel 1969 De Gaulle lascia definitivamente la scena politica.
L’intesa franco-tedesca si era comunque confermata la trave portante della Comunità e ne aveva assicurato la nascita e la crescita; ma il percorso della Comunità doveva ancora essere tortuoso e comunque lontano alle posizioni sia dei federalisti, che dei funzionalismi. Nel 1968 scompaiono tutti i dazi doganali all’interno del Mec, ed il bilancio dei primi sette anni (1958-65) era positivo: la produzione industriale dei sei era aumentata del 52%, il commercio interno del 166%, le esportazioni del 51%.
L’Euratom era viceversa naufragato a causa della scelte militarista perseguita dalla Francia.
La comunità apre le porte (1969-1972)

Successore di De Gaulle è Georges Pompidou (già di lui stretto collaboratore) che si rivelerà l’artefice del cambiamento della politica estera francese: apertura all’ingresso dell’UK nel mercato comune, e nuove relazioni con l’America (che era sotto pressione per il Vietnam) e con la Germania di Willy Brandt (che si apriva all’Ostpolitik ovvero al dinamismo tedesco orami consolidato e sempre teso all’unificazione).
L’apertura all’UK si determinò nella seconda Conferenza dell’Aja 1-2/12/69 definita (da Pompidou) come la “conferenza del completamento, dell’approfondimento e dell’allargamento”.
* Completamento circa le politiche agricole con l’adozione del nuovo regolamento finanziario, ed attraverso lo studio di un piano per l’unione economica e monetaria, per lo sviluppo industriale, per il settore dell’energia atomica e per l’unificazione politica.
* Approfondimento circa lo sviluppo e l’evoluzione futura della Comunità.
* Allargamento con l’accoglimento delle domande di adesione dei Paesi candidati all’ingresso nella CEE.
Dunque la seconda conferenza dell’Aja segna importanti novità circa l’ampliamento della Comunità, le politiche agricole, la costituzione di una Unione economica e monetaria e con un impegno verso una futuribile unificazione politica.
Ciò significava vantaggi agricoli per la Francia, l’entrata dell’UK nella CEE (con un certo abbandono di velleità da leader mondiale), conferma della centralità della Germania per altro impegnata sul fronte dell’Ostpolitik, e nessun vantaggio di rilievo per l’Italia che in questi anni è attraversata dal terrorismo e subisce più di altri paesi la crisi petrolifera.
Il 1974 segna un’altra svolta con l’elezione a premier in Fra e D rispettivamente di V. Gsicard d’Estaing ed H.Schmidt che costituiscono il tandem nei difficili anni della crisi economica e nelle relazioni con gli USA.
Dunque: il completamento della politica agricola apriva o riproponeva quello del finanziamento della Comunità (che De Gaulle aveva respinto nella crisi del’65); dopo aver riequilibrato le monete – svalutazione del franco e rivalutazione del marco -nell’aprile del 1970 i ministri della Comunità raggiunsero l’accordo sulle “risorse proprie”: la Comunità avrebbe avuto dall’ 1/1/71 la cassa comune alimentata da dazi, IVA e prelievi agricoli, cassa che avrebbe bilanciato le risorse nei vari stati membri. Contemporaneamente venivano attribuiti al Parlamento poteri in tema di bilancio attraverso la facoltà di proporre cambiamenti sulle allocazioni fisse (decisone che spettava al Consiglio dei ministri), potere di emendare la parte di bilancio non impegnata ed addirittura il diritto di non approvare o respingere il bilancio (cosa che avrebbe paralizzato la CEE).
I negoziati con l’UK si concludono nel giugno 1971 con l’UK disposta almeno in linea di principio a rinunciare ai privilegi finanziari goduti nell’ambito del Commonwealth, e con l’Europa disposta a rinunciare alla connotazione gollista “anti-americana”; tutti comunque concordavano sul non accettare una evoluzione federalista dell’Europa.
Con l’accesso di tre nuovi membri (UK, Irlanda, Danimaca) l’Europa diventava la prima potenza commerciale del mondo, la più grande produttrice di aaciaio, automobili ed altri prodotti industriali, anche se il proprio PIL era 1/3 rispetto a quello americano.
Da ora in poi la CEE poteva concentrarsi sugli altri due pilastri: quello dell’unione monetaria e successivamente quello dell’unione politica; a tale scopo venne stabilito (ampliando la proposta Davignon) uno scambio di informazioni permanente e riunioni quattro volte l’anno tra i ministri degli esteri con agenda aperta ad ogni argomento di politica internazionale (in modo simile dunque alla proposta Fouchet); ma la tempesta monetaria del ’71 e la decisione americana di abbandonare la parità aurea, ed in più la crisi energetica del ’73, aveva trovato i paesi europei impreparati ad esprimere una politica comune. Da qui nasce l’esigenza di istituzionalizzare gli incontri dei capi di Stato e di governo in un Consiglio europeo con riunioni tre volte l’anno.
Dall’altra parte dell’Atlantico, l’America stava attraversando una profonda crisi interna a causa dell’interminabile guerra del Vietnam, e guardava in modo preoccupato al processo di integrazione economica dell’Europa: così Nixon – senza consultare nessun leader europeo a nessun livello – il 15 ago 1971 annuncia improvvisamente una “nuova politica economica” con blocco dei prezzi dei salari e dei dividendi per 90 giorni, con l’abolizione della convertibilità del dollaro in oro e dando in pratica il via libera alla svalutazione del dollaro, con sovrattassa del 10% sulle importazioni. In altri termini Nixon fa morire gli accordi di Bretton Woods sulla stabilità dei cambi ed al ruolo del Fondo monetario internazionale che gli USA avevano sempre difeso.
La nuova politica economica americana colse impreparata l’Europa, con l’unico effetto di far riflettere che i Trattati di Roma (del 25/3/57) non prevedevano la costituzione della moneta unica e neppure la possibilità di integrazioni monetarie; solo nel marzo 1972 fu possibile ricercare una certa unità di indirizzi attorno al concetto di fluttuazione coordinata (il serpente dentro il tunnel), fluttuazioni limitate da una banda del 2.25 % in più od in meno. Nello stesso anno la conferenza di Parigi (19-21/10/72) avviò ufficialmente la Comunità a nove (D,Fra,Ita,Lux,B, Ol,UK,Irl,Dan) con quattro direttrici lungo le quali si sarebbe sviluppata l’iniziativa comunitaria:
1) istituzione entro il 1/4/73 del Fondo europeo di cooperazione monetaria;
2) adozione entro il 1/1/74 di un programma di azione in tema di politica sociale;
3) entrata in vigore entro il 31/12/73 del Fondo di sviluppo regionale alimentato con risorse proprie della comunità (particolarmente importante per il Mezzogiorno italiano al fine di sostenere olio d’oliva, vino, frutta, irrigazione, rimboschimento, infrastrutture);
4) realizzare l’Unione economica e monetaria entro il 1980.
Sul versante della cooperazione politica e dell’allargamento dei poteri del Parlamento la conferenza di Parigi si risolse con un nulla di fatto.
Nel 1973 però si scatenava l’ondata speculativa che investiva il dollaro e che non mancò di far sentire il proprio contraccolpo sull’Europa tanto che la Germania si dimostrò disposta a destinare risorse ad altri Stati europei (solidarietà monetaria) ma a patto che i beneficiari prendessero misure drastiche per ordinare i conti interni. E la fragilità dell’Italia era giunta a tal punto che la Germania negò gli aiuti alla lira.
L’alleanza difficile (1973-1979)

Il 23 aprile 1973 Kissinger lanciò la proposta che i 1973 diventasse l’”anno dell’Europa”; la sua politica del linkage, della negoziazione, lo portava infatti – specie ora con la guerra del Vietnam conclusa – a ribadire la leadership americana ed a chiedere un maggiore contributo europeo allo sforzo di difesa regionale. Naturalmente i paesi europei non poterono che sentirsi apertamente declassati a potenza regionale. Ma in realtà Kissinger aveva ragione: l’Europa non era in nessun grado di contrattare da pari con gli USA, né sul piano delle risorse né sul piano politico, come emerse evidente durante la crisi dello Yom Kippur del 6 ottobre 1973.
Gli europei rifiutarono il supporto logistico per il ponte aereo USA in favore di Israele, dichiarando che tale operazione era al di fuori dell’area coperta dal Patto Atlantico: giustificazione ineccepibile, ma che tradiva la preoccupazione che i paesi arabi dell’OPEC avrebbero usatoli petrolio come arma. E difatti l’OPEC quadruplicò nel giro di tre mesi il costo del barile di greggio (da 3 ad 11.65 dollari).
L’aumento dei prezzi petroliferi assommava i suoi effetti a quelli della rivoluzione delle materie prime: nel giro di venti anni la materia prima per l’energia era passata dal carbone al petrolio, e la Comunità Europea Carbone ed Acciaio diveniva un ente di progressiva liquidazione della produzione carbonifera; l’aumento del prezzo del petrolio apre ad una fase recessiva specie in Europa con inflazione e disoccupazione; ed ancora una volta la debolezza interna dell’Europa si manifestò nell’incapacità di formulare una politica comune nella riunione di Copenaghen del 14-15 dic 1973; tutt’al più gli europei offrirono ai paesi arabi la possibilità di un dialogo di collaborazione, con ovvi risentimenti americani (che erano filo-israeliani). Negli anni successivi quasi tutti i paesi europei seguiranno politiche filoarabe e filopalestinesi, entrando così in contrasto con gli USA.
Difficoltà USA-Europa si manifestarono ancora nelle crisi di Cipro 1974 e Portogallo 1975. Nel 1974 la Grecia tenta di annettersi Cipro, cosa che fece scoppiare la risposta turca con l’occupazione di metà dell’isola. Mediatori tra Grecia e Turchia saranno gli USA.
Nel 1975 il regime autoritario di Marcelo Caetano cade a seguito della rivoluzione pacifica dei capitani (25 apr ’75), aprendo ad un periodo di forte instabilità politica (anche per l’Angola): gli USA dal canto loro erano interessati al Portogallo per la sua posizione strategica; spetterà al governo di Bon ad intervenire in aiuto nella questione portoghese sia politicamente che economicamente a sostegno del socialista Mario Soaers (e per la seconda volta la D è leader e sostenitrice in Europa).
La collaborazione USA-Europa si ricostituiva tuttavia nei rapporti con l’URSS e con il mondo comunista; pietra miliare per l’Europa sono gli accordi di Helsinki del 1° agosto 1975 tra 35 paesi di ambedue i blocchi, con l’impegno per la conservazione della pace, l’inviolabilità dei confini, la collaborazione in campo economico, il rispetto dei diritti umani.
In ogni caso in questi anni nascono in Europa forti sentimenti anti-americani sia in relazione all’appoggio USA al regime dittatoriale di Pinochet (nel Cile del dopo-Allende) sia per il ritorno a posizioni fortemente conservatrici dopo la ventata di liberalizzazione cavalcata dagli USA (recessione?declino con Paul Kennedy? o ritorno alla normalità?).

La primavera del 1974 fu la stagione dei grandi mutamenti: finiva l’era di Brandt (D), il padre dell’Ostpolitik, e l’era di Pompidou (Fra); ed iniziava l’era del tedesco Schmidt e del francese Valere Giscard d’Estaing. I due da tempo lavoravano insieme (in qualità di ministri del tesoro dei rispettivi paesi) ed avevano visioni sostanzialmente omogenee circa l’Europa. Tale era fu detta dell’asse Schmidt-Giscard.
In UK si chiuse l’era di Heath ed al governo salì H.ilson il quale iniziò con moderazione a rinegoziare la presenza britannica nella CEE: reclamava condizioni meno onerose per l’economia inglese sull’orlo del collasso. Particolarmente importanti furono i vertici della CEE di Parigi (9-10 dic 1974) e di Dublino (10-11 mar 1975) ove venne deciso di istituzionalizzare i Consigli europei da svolgersi almeno tre volte l’anno. I Consigli europei divenivano l’organo più alto della comunità perché vi partecipavano i capi di Stato e di governo; il Consiglio dei ministri invece assumeva un ruolo propulsivo, mentre la commissione avrebbe svolto funzioni esecutive, nonché di promozione e sviluppo.
Il vertice di Parigi 1974 indicò la volontà dei principali protagonisti della vita continentale di non voler lasciarsi sopraffare dai drammatici problemi emersi dalla crisi energetica; Giscard, Schmidt, Wilson (seguiti da Rumor e Moro) compresero che l’unica risposta possibile era quella di rafforzare le strutture istituzionali della Comunità nel segno di un progetto confederale. Ormai l’Europa dei nove era una realtà autonoma della vita internazionale e bisognava stringere i tempi della coesione per evitare forze centrifughe; il bilancio dei primi 17 anni di vita della CEE (Trattati di Roma 25 mar 1957 entrati in vigore il 1° gennaio 1958) aveva degli aspetti positivi, ma portava con sé varie ombre. La CEE aveva infatti resistito ai rischi della disgregazione ed era diventata una protagonista del sistema internazionale, ma c’erano dissensi di ordine economico in conseguenza del terremoto petrolifero e su questo versante l’Europa dei nove falliva e non riusciva a prendere un’iniziativa comune: era – come continuamente la additava Kissinger – una forza regionale (mentre la leadership mondiale rimaneva in mano USA). Gli anni ’70 sono gli anni della crisi petrolifera e della conseguente crescita dell’inflazione; Fra, Benelux, Danimarca, Belgio ed Irlanda cercavano di innescare la ripresa con la crescita degli investimenti; Francia e Belgio in particolare destinavano molte risorse al settore dell’energia atomica. L’Italia invece – anche a causa delle pressioni della sinistra e del movimento di protesta – rispondeva alla crisi ed alla stagnazione con la dilatazione dei consumi, destinati a cresce proprio negli ani ’70 ed ’80.
La Germania rispose alla crisi petrolifera con una strategia di stabilizzazione interna e di controllo rigoroso dell’inflazione, ponendosi come stato stabilizzatore dell’Europa e di interlocutore privilegiato con gli USA (l’asse Bonn-Washington di Schmidt-Kissinger) .La Gran Bretagna e l’Italia in questo contesto rappresentano Paesi tutto sommato marginali (Andreotti riuscì a contrattare prestiti per 500 miliardi di lire dal FMI, impegnandosi in precise limitazioni della spesa pubblica e del deficit di bilancio).
Un timido tentativo di risposta comune nacque proprio dall’asse Scmidt-d’Estaing i quali proposero un summit dei paesi occidentali: ecco Rambouillet nel nov 1975 con D, Fra, UK, J, USA, Belgio ed Ita; la Comunità europea in quanto tale non fu invitata. In questa sede il rapporto del premier belga Tindemans proponeva la creazione di un bilancio comune, di un direttorio per la gestione degli affari economici,e sanciva di fato un’Europa a due velocità: la locomotiva franco-tedesca, e gli altri vagoni europei. Ribadito ripetutamente negli altri vertici europei, il rapporto Tindeman veniva accantonato nel 1977; rimaneva valida l’importanza attribuita al tema della cooperazione con i Pesi del Terzo Mondo, per la quale cooperazione venivano poste le basi di una politica commerciale di respiro mondiale. Secondo quanto previsto dai Trattati di Roma, la CEE aveva negli anni ’60 e ’70 accentuato le sue politiche commerciali specie verso l’Africa, fino alla ratifica di accordi con i paesi detti dell’ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) nelle varie conferenze di Yaundè 1966, 1969, 1973, e Lomè 1975, 1980. Estendendosi dai paesi africani a molti altri paesi, tali accordi commerciali garantiscono aiuti economici, finanziari e tecnici a 207 pvs. Va ricordato però che le politiche agricole della CEE sono state anche ambigue, favorendo ad es. monocolture.
Alla fine del 1976 cominciò a delinearsi qualche spiragli nella “grande depressione” europea: il marco, rimasto praticamente solo a perseguire la politica del “serpente nel tunnel”, si rivalutava di ben 4 volte tra il 1973 ed il 1978, mentre altre monete (sterlina, franco, lira) erano decisamente deboli.
La forza del marco indusse in nuovo presidente USA, Carter, ad imprimere una nuova accelerazione alla politica di ingerenza americana verso l’Europa, cercando di far assumere all’Europa la politica keynesiana americana: era la politica delle “tre locomotive: USA, Giappone, Germania” che avrebbero dovuto trainare il sistema mondiale. Ma la D di Shmidt rifiutò decisamente di assumere politiche americane (anche per non far cadere i difficili rapporti con l’URSS) e di diventare una locomotiva mondiale (in realtà già lo era per l’Europa). Inoltre non solo l’Europa non era coesa, ma anche il dollaro era indebolito dalle crisi petrolifera, dell’Afganistan, dell’Iran.
E’ in tale contesto che l’asse franco-tedesco propone al consiglio europeo di Copenaghen 7-8 aprile 1978 l’unione monetaria; dai successivi incontri di Brema e Bruxelles nasce l’ECU quale unità monetaria di riferimento, elemento centrale dello SME (il cui valore era costituito da un paniere cui contribuivano tutte le monete europee; come facile da aspettarsi la percentuale maggiore, il 33% del peso complessivo, cadde sulla D, e poi il 19,8% sulla Fra, il 13,3% all’UK, il 10% alla lira italiana). Il meccanismo di cambio erra complesso perché prevedeva una oscillazione del 2.25 % in più od in meno per ogni singola moneta, con un meccanismo di compensazione.
La situazione dell’Italia era particolarmente complessa: il 1978 è l’anno del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro e della conseguente costituzione di un governo di solidarietà nazionale presieduto da Andreotti e per la prima volta dal 1947 sostenuto anche dal PCI. A causa di tale drammatica situazione interna Andreotti ottenne che per la lira la banda di oscillazione fosse ampliata del 6% fino al raggiungimento di una maggiore stabilità, cosa che accadrà solo nel 1990.
Dall’Ecu prende vita lo SME il 13 mar 1979; ciò creò una certa tensione nei rapporti con gli USA di Carter perché rappresentava una potenziale minaccia al ruolo guida del dollaro. Lo SME una nuova Bretton Woods? No, per il suo ambito regionale e perché era un sistema a cambi fissi.
La battaglia d’Inghilterra (1979-1984)
(Il cosiddetto europessimismo)
Eletta con un programma improntato al più rigoroso liberismo ed ostile ad ogni forma di statalismo, la lady di ferro Thatcher perseguì la ripresa economica inglese anche attraverso la revisione dei contributi dovuti alla CEE. Convinta che l’UK pagasse troppo alla Comunità (cosa di fatto vera) ed alle prese con u deficit di 1700 miliardi di Ecu per il 1980, la lady di ferro impose la sua linea sfidando la rottura con la CEE. E vinse: la Comunità avrebbe iscritto a proprio carico il 65% del deficit britannico per i successivi due anni. Da tale discussione nacque inoltre la necessità di procedere al riesame delle politiche comunitarie entro la fine del giugno 1981 senza però rimettere in discussione né la responsabilità finanziaria né i principi fondamentali della politica agricola comune. Ma essendo la politica agricola comunitaria (PAC) il cuore della politica finanziaria europea, si determinò una impasse nei primi anni ’80.
Un ulteriore motivo di paralisi fu rappresentato dalle prime elezioni a suffragio universale diretto del parlamento di Strasburgo del 7-10 giu 1979 con l’elezione di 410 deputati. Ma non solo i vari paesi votarono con sistemi d voto differenti, ma le percentuali di votanti furono differenti (91% del Belgio, 33% dell’UK); ed inoltre la rappresentatività stessa del Parlamento era in forse (le campagne elettorali erano basate su problemi interni e non europei).
Tra le riforme proposte per rivedere il processo di integrazione ancora bloccato ricordiamo il piano Genscher-Colombo presentato al Parlamento europeo nel nov 1981 e di fatto abbandonato, e la proposta di Altiero Spinelli presentata del luglio 1982 che avvicinava la struttura comunitaria a quella federativa ove i poteri interni erano ridisegnati come segue: agli organi già esistenti di Consiglio europeo, commissione esecutiva e Parlamento si affiancava un Consiglio dell’Unione che doveva essere come una camera del senato rispetto al parlamento; Inoltre i nuovo assetto istituzionale prevedeva una precisa distribuzione di competenze tra Unione e singoli Stati, per cui l’Unione decideva in temi di politica agricola comune (PAC) mentre per altri aspetti quali trasporti, energia e ricerca, di volta in volta i singoli stati potevano scegliere se fare da soli o meno. Era il principio della sussidiarietà.
Era un disegno - quello di Spinelli – che si ispirava al sistema italiano e che aveva pure riscosso un certo interesse; ma la necessità di far approvare tale impianto dai parlamenti dei singoli paesi portò al naufragio del progetto, specie per l’opposizione francese.
Il consiglio di Fontainebleau (25-26 giugno 1984), pur facendo cadere la proposta Spinelli, vedeva l’apertura di una seria trattativa sulla politica agricola comune, che porterà alla definizione delle seguenti misure:
*per quasi 1/3 dei prodotti agricoli veniva fissato un tetto oltre il quale il produttore non avrebbe più ricevuto il prezzo garantito;
*venivano adottate quote di produzione per 5 anni al fine di ridurre la sovrapproduzione di latte;
*venivano smantellati i Montanti compensativi del 1971;
*veniva razionalizzata la politica dei prezzi (aumento medio fissato al 3.3%);
*venivano ridotti od aboliti i sussidi per latte, carni, cereali, frutta, ortaggi;
*veniva confermato il principio della preferenza comunitaria con la riduzione delle importazioni di prodotti agricoli da paesi extracomunitari.
Oltre a gestire l’emergenza, la CEE apriva importanti collaborazioni su ricerca, scambi culturali, formazione professionale (tra cui l’Erasmus).
Inoltre nei primi anni ‘80 chiedono ed ottengono di entrare nella CEE la Grecia, la Spagna ed il Portogallo: ciò rese necessario ribilanciare le politiche agricole per non far entrare in concorrenza i paesi tra loro (già nel 1974 morte di Franco in Spagna; nel 1974 fine del regime dei colonnelli in Grecia; nel 1975 fine del regime di Caetano in Portogallo).

Gli allargamenti delle CEE (da 6 a 15 membri: Francia, Germania occidentale, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Italia cui si assommano: Regno Unito, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo, Svezia, Austria e Finlandia.)

Nel 1973 entrano nelle CEE il Regno Unito, la Danimarca e l’Irlanda; il Regno Unito mostrò subito di voler agevolare la creazione di un mercato comune in regime liberista, deregolamentato e senza una moneta unica né politiche finanziarie e sociali comuni (e ciò in modo evidente tra il 1979 ed il 1997 con i governi conservatori Thatcher e Major). La Danimarca dirà no alla moneta unica del 1992; l’Irlanda invece non crea grossi ostacoli al processo di integrazione dopo al sua adesione.
Nel 1981 entra nelle CEE la Grecia (i cui maggiori problemi sono stati la povertà e le difficili relazioni con Turchia e stati della ex-Jugoslavia.); la Grecia già nel 1962 aveva firmato un “accordo di associazione”, ma negli anni 1967-74 subisce la dittatura. Ora, sebbene l’articolo 237 del Trattato CEE afferma semplicemente che “Ogni stato europeo può chiedere di diventare membro della Comunità” nondimeno, il presupposto era e rimane che un sistema democratico fosse un requisito necessario per la candidatura.
Così anche per Portogallo e Spagna: nel 1974 fine la dittatura di Caetano e nel 1975 quella di Franco: nel 1986 anche Spagna e Portogallo entrano nella CE.
Nel 1995 aderiscono alla CE anche Svezia, Austria e Finlandia, mentre dal punto di vista commerciale viene individuato lo Spazio Economico Europeo –SEE tra EFTA e CEE.
Paesi occidentali che non sono membri dell’UE sono: Norvegia, Svizzera ed Islanda; in più ci sono i due microstati mediterranei di Cipro (che deve risolvere il problema dell’occupazione turca nel nord) e Malta.
Dopo la caduta del muro di Berlino, anche i Pesi dell’Europa centrale ed orientale (PECO) domandano di entrare nelle CEE, e la Commissione propone al Consiglio europeo di aprire negoziati con Ungheria, Polonia, Rep. Ceca, Estonia e Slovenia, ma non ancora con Bulgaria, Romania, Slovacchia, Lettonia, Lituania, finquando non sarà consolidata la loro transazione economica.

Dalle comunità europee all’Unione Europea

Innanzitutto va ricordato come dal 1951 al 1995 le comunità europee si siano allargate da 6 a 15 membri; all’allargamento geografico corrisponde anche una evoluzione di tipo istituzionale. A seguito di vari trattati che integrano e modificano i trattati fondatori –tra i quali ricordiamo l’Atto Unico Europeo del 1986- avviene nel 1992 la nascita dell’Unione Europea con il Trattato di Maastricht, successivamente ampliato con i Trattati di Amsterdam ’97 e Nizza 2000.
Maastricht ’92 crea una nuova organizzazione basata su tre pilastri:
1) le tre comunità europee (CECA, CEE, Euratom);
2) la Politica Estera e di Sicurezza Comune PESC;
3) laCooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni.
A questi si affianca lo scadenzario per la realizzazione della moneta unica, il programma Moneta Unica Europea –MUE, con la possibilità di far entrare in vigore la moneta unica fin dal 1997. In realtà essa è entrata in vigore il 1/1/99.
Sulle politiche comunitarie, la UE non è entrata su capitoli quali spesa pubblica, previdenza, educazione, salute e difesa; ma ha ritenuto necessario dotarsi invece di una Politica Agricola Comune –PAC, di cui parleremo più vanti.
Inoltre hanno ricevuto particolare attenzione le politiche regionali e sociali attraverso lo sviluppo e la crescita dei due principali fondi strutturali dell’UE: il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) ed il Fondo Sociale Europeo (FSE).
Un atto veramente unico (1985-1991)

Con la seconda metà degli anni Ottanta iniziava uno dei periodi di maggiore attività per l’Europa, guidata ora dal lussemburghese Jacques Dolors – emulo di Jean Monnet – che divenuto presidente della Commissione esecutiva di Bruxelles dal 1° gennaio 1985, elabora la stesura di un libro bianco per l’Europa denominato Il Programma Novanta, libro bianco animato dalla risoluzione di far uscire definitivamente l’Europa dalla mediocrità verso un sistema integrato. Tra i punti principali del Programma Novanta ricordiamo:
*eliminazione di barriere fiscali, di controlli doganali su merci ed uomini, e dunque facilitazione dell eoperazioni di dogana;
*eliminazione di barriere tecniche tra stati per agevolare la liberalizzazione di appalti pubblici, di manodopera, di attività professionali, di films;
*la rimozione di barriere fiscali attraverso l’armonizzazione dei tributi e delle aliquote.
La novità del Programma Novanta veniva facilitata dal mutato contesto mondiale, grazie al ristabilimento della congiuntura economica favorevole Usa, al repentino cambiamento dei rapporti Est-Ovest, alla riunificazione tedesca, all’idea ormai condivida che non si poteva più procrastinare il momento per far decollare l’Europa verso una maggiore integrazione.
Per far uscire l’Europa dal letargo si poteva approfittare del nuovo vertice di Milano (28-29 giugno1985) guidato da Craxi ed Andreotti; qui Kohl e Mitterand avevano tirato fuori (senza preavviso) un “Progetto di trattato dell’Unione europea” che però trovava la ferma opposizione della Thatcher circa la questione monetaria; a questo punto Craxi propone la creazione di una Conferenza intergovernativa che trattasse i temi della sicurezza, della politica estera, della politica istituzionale e dell’integrazione economica. Di nuovo il deus ex machina fu Delors, la cui principale preoccupazione era di riuscire a far abolire le frontiere interne per promuovere l’integrazione. I lavori della conferenza si chiusero a Lussemburgo (16-17 dic 1985() con l’approvazione del piano senza però che fosse fatta menzione all’unione monetaria, come voleva la Thatcher. L’Atto Unico venne poi firmato il 17 febbraio 1986 da tutti i paesi, salvo che da Grecia, Danimarca ed Italia che lo firmarono con undici giorni di ritardo il 28 febbraio.
L’Atto Unico entrava in vigore il 1° lug 1987 e si articolava in due titoli differenti:
*modifiche istituzionali ai trattati di Roma (25/3/57) e misure per conseguire il completamento del mercato unico entro il 1992;
*disposizioni sulla cooperazione politica circa la politica estera comune e la sicurezza.
Inoltre entravano nell’Atto Unico il Fondo europeo di sviluppo regionale, la politica dell’ambiente, della ricerca, la politica sociale (e dunque la salute dei lavoratori).
Ovviamente non si faceva menzione dell’unificazione monetaria a causa dell’opposizione britannica; ma il punto veramente innovativo era quello riferito alla cooperazione nella politica estera comune che prevedeva consultazioni a tutto campo, 4 riunioni all’anno dei ministri degli esteri nonché stretta associazione del Parlamento e della Commissione alla cooperazione politica. Altra novità era la dichiarazione in linea generale che l’Europa poteva avere necessità di una più stretta collaborazione tra i Paesi europei oltre e non in contrasto con la NATO e la UEO.
Dietro l’architettura dell’Atto Unico c’era Delors che lanciò una serie di proposte per consentire alla CEE di dotarsi degli strumenti e delle risorse necessarie per portare l’Atto Unico al successo:
*riforma della PAC con una compressione delle spese per ridurre le eccedenze;
*riforma del sistema di bilanciamento e di bilancio;
*potenziamento dei fondi strutturali per diminuire il divario Nord/Sud all’interno della Comunità;
*costituzione di una nuova entrata calcolata sul PIL.
La macchina del mercato unico ormai era in moto, e la CEE chiese a Delors di costituire un comitato per analizzare e proporre tappe per arrivare eventualmente alla moneta unica (tra i membri del comitato c’era C.A.Ciampi). Nel giro di un anno tale missione esplorativa mise in moto il meccanismo che avrebbe portato a Maastricht.
Le tappe individuate da Delors erano tre, ed in parte già attivate:
*totale convertibilità delle monete europee;
*completa liberalizzazione dei movimenti dei capitali;
*eliminazione dei margini di fluttuazione delle monete ovvero instaurazione di rapporti di cambio fissi.
L’accoglienza che il Consiglio europeo di Roma del 27-28 ott 1990 fu moderatamente incoraggiante, ferma restando l’opposizione inglese alla moneta unica.
Intanto lo scenario internazionale era cambiato: nell’estate del 1989 era iniziata la fuga in massa della popolazione della Germania orientale in Austria attraverso le frontiere che la Cecoslovacchia e l’Ungheria avevano aperto. E nella notte tra il 9 ed il 10 dicembre 1989 crollava il Muro di Berlino: finiva così la divisione dell’Europa decisa a Yalta ed a Postdam.
Kohl ormai poteva e doveva attuare la sempre auspicata unificazione tedesca, ma doveva anche aspettare le mosse sovietiche per guidare la transizione. E l’unificazione tedesca riproponeva una Germania di più di 80 milioni di abitanti con la tradizionale (e forte) vocazione di espansionismo economico e politico verso l’Est ed i Balcani. La Germania tornava ad essere, se non una superpotenza, la maggiore potenza continentale.
Di conseguenza la Francia di Mitterand era preoccupata, mentre Gorbaciov era disperato: doveva assolutamente evitare l’unificazione tedesca.
Ma via via che si chiariva la situazione nell’Est europeo e che la disgregazione del potere post-comunista in RDT (Germania orientale) diventava sempre più rapida ed irreversibile, le posizioni degli altri partner europei divennero più decise: sì all’unificazione tedesca a patto che la D desse inequivocabile prova della sua vocazione europeista sia con la messa in comune del carbone e dell’acciaio sia con la disponibilità ad aprire il dibattito sulla futura configurazione politica della CEE.
Il 3 ottobre 1990 entrò in vigore il Trattato tra le due Germanie e fu proclamata l’unificazione; Gorbaciov dovette dare l’assenso, anche di fronte ad un cospicuo assegno europeo.

Il 1990 vede molteplici e differenti motivi di tensione nel mondo: la crisi del Kuwait (invasione irachena) che si sviluppa nella guerra del Golfo – con latitanza europea! - lo smembramento dell’URSS e la questione balcanica, nonché l’endemica questione mediorientale. Il clima mondiale spinge i leader europei a stringere i tempi dell’unificazione, anche perché tutto lasciava intendere che si stava avvicinando un periodo di recessione economica (come in effetti sarà).
Circa gli aspetti monetari la comunità aveva già il progetto Delors, e tutto stava nel creare subito la Banca centrale europea, o temporeggiare; il problema era l’aspetto politico e militare, ovvero giungere ad una politica estera comune, una liberalizzazione di merci e persone (magari attraverso estensione dell’accordo Schengen tra Fra,D,Benelux,Spa,Port, Gre), acordarsi sulla forza militare. Nei vertici del 1990 emerge forte la proposta dell’asse FRA-D di costituire una forza europea articolata attorno all’UEO, sulla falsa riga del fallimentare CED, mentre Ita, Olanda ed UK – che manteneva la solita politica isolazionista, nonostante la Teatcher fosse stata sostituita da Major – sostenevano una UEO fortemente integrata nella NATO. Sarà il governo di Washignton che per evitare la contrapposizione accetterà la proposta franco-tedesca. Nel frattempo i singoli paesi operavano una complessa opera di adattamento legislativo sul piano interno ai parametri che erano stati fissati nel Libro bianco dell’Europa.
Dunque i primi anni novanta vedono una accelerazione nei lavori dei singoli paesi per il raggiungimento dell’integrazione europea; l’integrazione economica con il mercato unico rimaneva il successo maggiore, ma in parallelo gli Stati lavoravano per costituire l’unità politica e monetaria.

Maastricht: le istituzioni e la nuova Europa (1992)


Abbiamo già visto l’evoluzione dell’integrazione europea dall’OECE ( 1948), alla CECA (Parigi ’51), alle CEE ed Euratom (Roma ’57), all’OSCE (Parigi ’60), all’Atto Unico Europeo (Lussemburgo ’85). Tra i fattori che sospingono l’Europa verso l’integrazione sottolineiamo la realizzazione di una moneta unica quale condizione per la stabilità e dunque per la programmazione economica; il controllo in modo organico di criminalità, traffico di stupefacenti, terrorismo, emigrazione; la mutata situazione internazionale a seguito del crollo del blocco sovietico tra il 1989 ed il 1991; l’inadeguatezza della risposta comunitaria dinanzi alle crisi internazionali quali la guerra del Golfo del 1990-91. E, non ultimo, il nuovo potenziale egemonico che la Germania unita andava formando dopo il 1990, potenziale che andava integrato con gli altri paesi al fine di avere una Germania europea anziché un’Europa tedesca.
Tutto questo complesso di fattori portarono alla firma del Trattato di Maastricht:
l’11 dicembre 1992 i capi di Stato e di governo dei “Dodici” firmavano il trattato che istituiva l’Unione Europea (252 articoli, 17 protocolli e 31 dichiarazioni); l’unione europea si articola da ora in poi su tre pilastri:
*CE, comunità europea (ceca ’50 + cee ’57 + euratom ‘57);
*PESC, politica estera e sicurezza comune;
*CGAI, giustizia ed affari interni.


1) le Comunità Europee (CECA, CEE, Euratom); in questo ambito il nuovo trattato integra il principio di sussidiarietà, volendo indicare così che nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene solo se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere meglio realizzati a livello comunitario (cfr. art. 3b). Inoltre il nuovo Trattato istituisce la cittadinanza dell’Unione, con cui ogni cittadino diveniva anche cittadino europeo, con il diritto di vivere e lavorare ovunque nel territorio degli stati membri.
Tra le modifiche istituzionali ricordiamo l’istituzione di un Comitato delle Regioni (189 membri) allo scopo di consigliare il Consiglio e la Commissione su questioni di rilevante importanza per le regioni. Ricordiamo inoltre sia l’introduzione di un nuovo capitolo circa l’impegno della CE all’aiuto ai paesi in via di sviluppo attraverso programmi pluriennali, sia l’introduzione di altri settori quali istruzione, salute, protezione dei consumatori, reti transeuropee, competitività industriale, ricerca e sviluppo tecnologico, ambiente, coesione economica e sociale (questa in particolare con l’istituzione del Fondo di Coesione per fornire assistenza finanziaria nei settori dell’ambiente e delle infrastrutture dei trasporti transeuropei)

2) La Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) circa la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell’indipendenza dell’Unione, dello sviluppo e del consolidamento della democrazia e dello stato di diritto, del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
3) Il CGAI o Cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni, circa la politica di asilo, norme e controlli sulla circolazione di persone e beni, politiche di immigrazione e residenza, lotta alle tossicodipendenze, lotta alle frodi internazionali, cooperazione giudiziaria in ambito civile e criminale.

La CE nasce dunque sulla base delle preesistenti istituzioni (CECA,CEE, EURATOM) cui si aggiungono le politiche di cooperazione estera e di sicurezza comune, nonché particolari fondi a favore di ambiente, reti di comunicazione, ricerca e sviluppo tecnologico, educazione e formazione professionale, sanità, politica sociale interna, aiuto a regioni meno sviluppate; il tutto secondo il principio di sussidiarietà (principio ereditato dalla dottrina sociale della Chiesa; cfr. titolo II, art. 3B).Inoltre sottolineiamo la grande novità del trattato di Maastricht che è l’Unione Economica e Monetaria (da realizzarsi in tre fasi: liberalizzazione dei capitali, creazione dell’Istituto Monetario Europeo e la fissazione dei tassi di cambio definitivi tra le monete della comunità), da cui nascerà l’Euro.
Il PESC prevede la sistematica cooperazione tra gli Stati membri attraverso “posizioni comuni” destinate ad “azioni comuni”, ovvero (Titolo V): difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell’indipendenza dell’Unione; rafforzamento della sicurezza internazionale –conformemente alla Carta delle Nazioni Unite ‘45, ai principi dell’Atto finale di Helsinki ’75, ed alla Carta di Parigi ’90; promozione della cooperazione internazionale, sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Dunque la neonata Unione Europea attraverso il PESC persegue la difesa della sicurezza, e lo strumento da utilizzare è il già esistente UEO (Unione Europa Occidentale –militare del ’54 che a sua volta era nata dall’estensione del patto di Bruxelles del ’48; dal ’54 partecipano alla difesa comune anche alcune truppe tedesche, pur senza un esercito, ovvero senza uno Stato Maggiore).
Il CGAI prevede la cooperazione nel settore della giustizia (civile e penale), doganale, di polizia (contro criminalità, traffico di droga, terrorismo)*****SCHENGEN???***
La complessità della funzionamento della macchina europea è accentuata dall’assenza della separazione dei poteri: i poteri infatti vengono esercitati congiuntamente attraverso un sistema di codecisioni. Manca cioè un potere al vertice dell’organizzazione comunitaria, potere di coordinamento e di direzione (quale quello esercitato da un presidente od un primo ministro). Il sistema attuale si articola nei seguenti organi:
* Consiglio europeo: riunisce almeno due volte l’anno i capi di Stato e di governo;
* Consiglio dell’Unione Europea: sono costituiti dai ministri di volta in volta responsabili dei temi da trattare (politiche agricole, ordine pubblico…);
* Commissione: elemento trainante dell’Unione, è un governo limitato però ai Trattati ed alle scelte del Consiglio dell’Unione Europea;
* Parlamento: svolge una importante funzione di controllo pur non avendo grande capacità decisionale;
* Corte di giustizia: assicura il rispetto del diritto comunitario;
* Corte dei Conti europea: controlla la legittimità e la regolarità di entrate e spese;
* Comitato economico e sociale e Comitato consultivo CECA: sono organi esclusivamente tecnici rispettivamente su lavoro, occupazione, assistenza sociale, produzione e commercializzazione di carbone ed acciaio;
* Comitato delle regioni: è il legame tra l’Unione e gli enti locali circa istruzione, cultura, politiche della gioventù, trasporti, telecomunicazioni ed energia;
* Banca europea degli investimenti: cura gli investimenti nelle infrastrutture;
* Istituto monetario europeo: diventerà Banca centrale europea (supremo arbitro della politica economica e finanziaria dell’unione).

I quattro organi principali comunque sono: la Commissione, il Parlamento, il Consiglio dell’unione europea (ministri) ed il Consiglio europeo (capi di stato +capi di governo).
La Commissione ha vasta funzione propositiva (in materia legislativa e di bilancio); le sue proposte sono poi discusse dal Parlamento ed infine approvate dal Consiglio dei ministri; una volta approvate la Commissione ha competenza esecutiva circa l’attuazione di quanto disposto nei Trattati. La legislazione comunitaria utilizza vari strumenti giuridici: Regolamenti (obbligatori per tutti, stati ed individui), Decisioni (obbligatori per singoli Stati), Direttive (obbligatorie nelle indicazioni ma che lasciano piena discrezionalità sui modi di realizzazione nei diversi stati –ma i tempi sono obbligatori); Raccomandazioni e pareri (indicazioni orientative non vincolanti).
Il Parlamento rappresenta i popoli dell’Unione ed ha funzioni consultive e di controllo sulla Commissione (non è come un parlamento statale quale sede della sovranità popolare) specie per quel che concerne l’approvazione del bilancio.Nel caso di disaccordo tra Commissione e Parlamento interviene un “Comitato di conciliazione” diretto a trovare una soluzione accettabile per entrambi, e che entrambi codecidono di applicare. Di fatto le decisioni nascono da una “democrazia del negoziato” all’interno del Parlamento e tra Parlamento e commissione che mira alla partecipazione, e non più da una “democrazia maggioritaria” che invece mira all’alternanza.
Il Consiglio dei ministri (o Consiglio) è l’organo decisionale per eccellenza e si avvale di rappresentanti permanenti (e si occupa di moltissime questioni, dalla politica estera alla sicurezza interna, alla giustizia).
Il Consiglio europeo ha capacità di stimolo ed orientamento generale.
A tutto ciò va aggiunto un non indifferente problema logistico: infatti le riunioni mensili si svolgono a Strasburgo, le commissioni lavorano a Bruxelles mentre gli uffici amministrativi sono a Lussemburgo.

Il dopo-Maastricht e la sfida dell’Euro (1992-1997)
Firmato a Maastricht, il Trattato doveva poi essere ratificato dai singoli parlamenti (ad es. la Danimarca lo bocciò fino alla fine del 1993), e ciò fece emergere numerosi dubbi ed incertezze circa lo storico accordo; in più l’opinione pubblica era evidentemente lontana dall’Unione europea (tanto che la partecipazione alle votazioni per il Parlamento europeo del 1994 si aggira intorno al 56%).
Ma ciò che mise in crisi il sistema europeo fù la tempesta monetaria del settembre 1992 che minacciò di scardinare lo SME, portando lira e sterlina fuori dello SME (con una svalutazione del 30-35% per entrambe le monete), tanto che in Italia il Consiglio dei ministri decideva di allargare i margini di fluttuazione dal 2.5 al 15 per cento. Gli anni 1992-97 sono gli anni del risanamento finanziario sia per l’Inghilterra della Thatcher, che per l’Italia dei governi Amato, Ciampi, Dini, Prodi, anni nei quali il deficit di bilancio fu ridotto dall’11 al 3.2 per cento.
Sono questi gli anni in cui maturano il processo di riforma della politica agricola PAC, quello per la moneta comune e quello per l’allargamento dell’Unione alla partecipazione di nuovi membri (ad es. Austria, Svezia,Norvegia, Finlandia che entrano nel 1994) attraverso la creazione del SEE –spazio economico europeo- che veniva stipulato tra i Dodici ed i sette paesi dell’EFTA ovvero Austria, Finlandia, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svezia e Svizzera. Attraverso il SEE si creava un’area economica di 380 milioni di consumatori e si avvicinava l’Unione europea ai paesi del Nord Europa (specie per i settori commerciali, finanziari e bancari, di trasporti).
Le diversità economiche e culturali dei vari paesi che di volta in volta chiedono di entrare nell’Unione pone problemi a vari livelli: così i paesi ex-Comecon (scioltosi nel 1991) sono impreparati ad affrontare la privatizzazione delle economie già socialiste e le durezze del libero mercato ed hanno quindi bisogno di misure di protezione tecnica e finanziaria; le ipotesi per una Europa che potesse accogliere numerosi altri paesi sono veramente variegate:
*un’Europa a più velocità che presuppone un itinerario verso un obiettivo comune ma con tempi e con ritmi diversi secondo lo stato di preparazione di ciascun paese;
*una “Europe à la carte”, ovvero uno schema che lascia libero ogni Stato di decidere se aderire o meno all’uno od all’altro dei programmi di integrazione (legittimando così scelte parziali quali quella dell’Inghilterra);
*un’Europa a geometria variabile in cui tutti gli Stati membri avrebbero condiviso un progetto comune, con assoluta libertà di partecipazione a programmi collaterali; (il “nocciolo duro” sarebbe stato composto da Francia, Germania e Benelux legate con un modello federalista, e con un rafforzamento della politica estera comune e delle relazioni franco-tedesche; a ciò presupponeva una egemonia tedesca che certo non poteva piacere all’Inghilterra o all’Italia)
*un’Europa a cerchi concentrici al cui centro stava nucleo duro.

Quasi tutte le proposte prevedono un’Europa a due velocità, ma non risulta del tutto impossibile realizzare il progetto originario di un’Europa che realizzi l’integrazione politica in parallelo a quella economica già in atto.
Il Trattato di Amsterdam 1997 o Patto di Stabilità e crescita

L’obiettivo del trattato era di “fare meno, ma di farlo meglio”; in quest’anno segnaliamo diverse novità circa l’atteggiamento di singoli Stati: l’indirizzo del neo primo ministro inglese Tony Blair è verso un impegno costruttivo nei confronti della UE; contemporaneamente il primo ministro francese Lionel Jospin si mostrava particolarmente ansioso di vedere riconosciuta la necessità di promuovere l’occupazione nell’UE. Viceversa è la Germania di Kohl a rallentare l’integrazione europea a causa di tensioni interne.
Le modifiche che il Trattato di Amsterdam’97 apporta a quello di Maastricht ’92 sono individuabili come segue:
*nella sezione I : Libertà, sicurezza e giustizia laddove gli stati membri intendono assicurare un alto livello di sicurezza in un’area di libertà, sicurezza e giustizia attraverso lo sviluppo di un’azione comune tra gli Stati membri nei settori della cooperazione giudiziaria ed in materia penale, e prevenendo combattendo la xenofobia (art.29 TUE).
*nella sezione II L’Unione e i suoi cittadini si sottolinea l’importanza che l’Unione deve attribuire alla promozione dell’occupazione:
*nella sezione III Un’efficace e coerente politica estera, per la prima volta specifiche questioni circa la sicurezza venivano identificate come rientranti nel mandato dell’Unione, con l’incorporazione delle cosiddette “missioni Petersberg”: missioni umanitarie e di evacuazione di persone, missioni di mantenimento della pace e missioni di forze armate ai fini della gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace;
*nella sezione IV Le istituzioni dell’Unione venivano rielaborate le quattro procedure legislative: parere conforme, consultazione, cooperazione, codecisione, ove la procedura di cooperazione veniva di fatto abbandonata, mentre veniva esteso il mandato della procedura di codecisione che diveniva la procedura “normale” (procedura che permette di migliorare la velocità dei processi decisionali e conferisce maggior potere al PE; infatti la procedura prevede che sia PE che Consiglio devono approvare la proposta della Commissione od in prima lettura, od in seconda lettura con modifiche entro tre mesi, od ancora modificato da un apposito comitato di conciliazione entro altre sei settimane. La proposta non è adottata se il PE la respinge a maggioranza assoluta in seconda lettura od anche se PE e Consiglio non raggiungono una conciliazione entro le sei settimane). Quindi il Trattato dio Amsterdam sposta ulteriormente l’asse istituzionale delle procedure legislative dal precedente binomio Commissione-Consilgio all’attuale triade Commissione-Consiglio-PE;
*nella sezione V Cooperazione rafforzata-flessibilitàviene consentito ad un numero di stati membri “costituenti almeno una maggioranza” di stabilire una collaborazione più stretta fra di loro servendosi delle istituzioni comunitarie;
*nella sezione VI Semplificazione e consolidazione deitrattati il trattato di Amsetrdam applica una nuova numerazione agli articoli.

Quale risultato dei Trattati, un numero sempre maggiore di competenze politiche viene delegato dagli stati membri alla UE, i poteri delle istituzioni europee vengono rafforzati, e la dimensione sopranazionale registra un ulteriore incremento. Dalla storia dei Trattati emergono aspetti e caratteristiche del processo di integrazione europeo:
- l’economia ha preceduto la politica (dalla CECA del ’51 al Patto di Stabilità e coesione del ’97);
- il processo di integrazione è stato progressivo (quantitativamente e qualitativamente inteso);
- il processo di integrazione ha avuto velocità variabile nel corso degli anni;
- l’organizzazione degli Stati membri si è basata sulla flessibilità (non tutti devono approvare e fare tutto, ma ogni Stato ha possibilità di ottenere degli opting out: così Danimarca e Regno Unito circa l’euro;
- l’obiettivo di fondo è quello di ottenere benefici per tutti, ovvero crescita economica e promozione di rapporti armoniosi tra gli stati europei



Il Trattato di Nizza 2000

Il Trattato di Nizza del 2000 avrebbe dovuto creare le condizioni giuridiche, istituzionali e politiche per la storica riunificazione del continente europeo attraverso l’adesione alla UE dei paesi dell’Europa centrale, orientale e meridionale, aprendo così la UE ad altri 12 paesi (per un totale di 27). Di fatto questo obiettivo non è stato raggiunto, ma ciononostante Nizza rappresenta un ulteriore passo verso l’integrazione. Il Trattato di Nizza concerne infatti la composizione della Commissione, il sistema di ponderazione di voto nel Consiglio e la definitiva distribuzione dei seggi nel parlamento. Le modifiche alla composizione della Commissione ed alla ponderazione dl voto verranno applicate solo nel 2005, mentre quelle relative al Parlamento nel 2004 (in occasione delle prossime elezioni europee; così il cui tetto massimo di parlamentari, oggi 700, è fissato a 732).
Inoltre è stato esteso il campo di applicazione della maggioranza qualificata per alcuni aspetti della politica commerciale comune, per la politica dell’immigrazione, dell’asilo, per i Fondi strutturali e d i regolamenti finanziari.
Ma Nizza 2000 è importante anche per la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il cui preambolo fa riferimento al “patrimonio spirituale e morale” dell’Unione e riafferma che l’Unione è fondata sui valori indivisibili ed universali di dignità umana, libertà, eguaglianza e solidarietà, sul principio democratico e dello stato di diritto e che colloca la persona al centro della sua azione attraverso l’istituzione della cittadinanza europea e la creazione di uno spazio di libertà, dio sicurezza e di giustizia. Viene altresì riaffermato il rispetto della sussidiarietà, delle identità nazionali, regionali e locali e della diversità culturale..
Dunque la Carta riconosce esplicitamente quali diritti civili e politici la dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Al momento però la Carta non è giuridicamente vincolante e non è stata inserita nel Trattato.



Uno dei temi più ricorrenti nella storia dell’integrazione europea è quello della politica estera, collegato a quello della difesa comune: l’Europa non è ancora riuscita a realizzare un solo intervento coordinato, né nei Balcani nel ’91 (dove presero il sopravvento le politiche nazionali quali quella tedesca che anticipò unilateralmente il riconoscimento di Slovenia e Croazia incoraggiando così lo scontro tra serbi e croati; o quello della Francia che inviò insieme alla Gran Bretagna forze di intervento rapido; sarà la NATO con un contingente di 22.000 uomini a cercare di portare la pace, ma con un mandato ONU estremamente ristretto); né nella crisi ruandese del ’94 (mentre la Francia inviava uomini, gli altri Paesi inviavano solo aiuti umanitari). Manca all’interno dell’Europa non solo la capacità di prendere decisioni a maggioranza (sono solo valide quelle all’unanimità) ma la stessa capacità di compiere comuni analisi e valutazioni dei fatti (magari a causa dei conflitti tra Commissione e Consiglio dei ministri, o delle semestrali rotazioni delle presidenze).

Spetta ai nostri anni ed agli attuali governi saldare un’Europa forte e che possa dunque proporre con i fatti alternative di pace preventiva nei differenti scenari del nostro mondo (non ultimi il sud-america ed il medio oriente)

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