Wednesday, October 04, 2006
medio oriente
APPUNTI SUL MEDIO ORIENTE
Bibliografia
Bernard Lewis, La costruzione del Medio Oriente, Laterza, 2003
Bernard Lewis, La crisi dell’Islam, Oscar Mondadori, 2005
Samir Kassir, L’infelicità araba, Einaudi, 2006
Roger Owen, Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno, Il Ponte, Bologna, 2005
1. Medio Oriente e Occidente
“Medio Oriente” e “Occidente” sono termini di uso quotidiano che indicano con una certa precisione due differenti aree geografiche, e con molta imprecisione due modi di vivere differenti. Con “Occidente” si intendono, infatti, si tutti i paesi compresi tra le sponde del mediterraneo e le coste del pacifico, includendo quindi sia l’Europa che le Americhe senza particolari distinzioni. Ma guardando ai popoli ed alle culture occidentali si nota come tale assimilazione sia imprecisa, dal momento che non solo non emerge un sentimento unitario tra gli europei (basti pensare alle tristi sorti della Costituzione Europea) ma anzi negli ultimi cinquant’anni sono sempre stati presenti idee e sentimenti di contrapposizione tra USA e UE.
Intendiamo comunemente con Medio Oriente quell’area geografica tra le sponde orientali del Mediterraneo e le catene montuose dell’Afghanistan, circondato a nord-est dalle ex - repubbliche sovietiche (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kibghizistan) ed a sud-est dalla penisola indiana e dalla catena montuosa del Tibet.
Dal punto di vista geografico in quest’area, per gran parte arida, troviamo varie regioni: due grandi valli, quella dei fiumi Eufrate e Tigri, e quella del Nilo, sulle sponde dei quali si sono sviluppate le civiltà della Mezzaluna fertile e dell’Egitto; gli altipiani dell’Anatolia o Turchia e della Persia o Iran; ed infine una zona intermedia tra le due grandi valli caratterizzata dalle catene montuose del Libano e dell’Antilibano.
Le varie popolazioni sono tra loro decisamente differenti per storia, religione, lingua: basti pensare alle differenze tra le culture millenarie Persiana (Iraq- Assiri e Babilonesi a partire dal 2° millennio a.C.) ed Egiziana (con i faraoni dal 3° millennio a.C.) ed i popoli che da esse sono stati dominati.[1]
Le religioni che si affacciarono nel Medio Oriente furono il Giudaismo, il Cristianesimo ed ovviamente l’Islam dal 632 d.C.; ma ciò che ci permette di constatare le differenze tra le popolazioni sono le lingue: quella araba (di origine semitica) al sud; quella persiana (di origine indoeuropea e connessa al sanscrito) ad est; quella turcotartara (di origine asiatica) al nord. Al fianco di queste ne esistono di minori quali il tagico, il pasto, il curdo.
Ancora meno preciso sembra essere il termine “Medio Oriente”, che in prima istanza può evocare qualcosa che ha a che fare con l’Islam, con popolazioni lontane, povere e analfabete; od ancora a stati nei quali difficilmente vivono i concetti di democrazia e libertà. In realtà vivono in Medio Oriente un insieme di popoli differenti (arabi, nord-africani, persiani, turchi) che parlano lingue differenti e che hanno alle spalle storie differenti. Ci sono state civiltà più forti e conquistatrici e popoli più piccoli e conquistati. Il primo sforzo da fare è, allora, contestualizzare le storie delle varie dinastie, dell’ascesa e del declino dei vari imperi (assiro, babilonese, persiano, greco, romano, arabo, turco-ottomano) che nel giro di 5 millenni si sono succeduti sino ad oggi; ciò permette innanzitutto di affermare che prima della nascita dell’Islam, prima cioè del 622 d.C., in questa zona del mondo si sono sviluppate varie civiltà che hanno contribuito in diverso modo allo sviluppo dell’umanità (dalle tecniche di costruzione e di alimentazione all’alfabeto, ai numeri, alle scienze mediche, umanistiche e tecniche). Inoltre, se varie sono state le culture che si sono succedute, possiamo anche pensare che le culture ed i sistemi di potere attuali (e quindi sia la gestione economica occidentale che la visione politica islamica) potranno un giorno evolversi e terminare, lasciando spazio per nuove forme di gestione della vita.
2.L’infelicità araba
Detto questo, l’immagine comune che abbiamo del Medio Oriente è innegabilmente vera: queste popolazioni soffrono la povertà, malattia che ancora colpisce gran parte dell’umanità. Sono povere almeno tanto quanto altre popolazioni asiatiche, sub-sahariane o dell’america latina; ma a differenza di queste, il Medio Oriente presenta una propria peculiartà: una diffusa infelicità.
“C’è bisogno di descriverla l’infelicità araba? Basterebbero pochi dati per mettere in evidenza la gravità dell’impasse in cui sono bloccate le società arabe: tasso d’analfabetismo, forbice tra i più ricchi, immensamente ricchi, e i più poveri, disperatamente poveri, sovraffollamento delle città, desertificazione delle aree rurali (...) L’infelicità araba ha questo di particolare: la provano quelli che
(visti da n.d.r.) altrove parrebbero risparmiati. E ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e i sentimenti. A iniziare dalla sensazione (...) che il futuro è una strada ostruita. (...) L’impotenza, innegabilmente, è oggi la cifra dell’infelicità araba. Impotenza a essere ciò che si ritiene di dover essere. Impotenza ad agire per affermare la propria volontà di esistere, se non altro come possibilità, di fronte all’Altro che ti nega, ti disprezza e, adesso, nuovamente ti domina. (...) Vista la crisi delle ideologie, a questo punto, per dare sfogo alla frustrazione e per veicolare la richiesta di cambiamento, non resta che il ricorso alla religione.” (S.Kassir, pp.3,4,6,27)
Riporto una lunga citazione di S.Kassir perché con estrema chiarezza mette in luce la prospettiva dalla quale i popoli del Medio Oriente sembrano guardare a se stessi, al loro futuro ed all’Occidente: con sguardo impotente. La gente dell’Islam, popolo che ha ricevuto da Dio l’ultima e più vera rivelazione di cui dovrebbe essere il testimone verace per l’intera umanità convertendo e facendo trionfare il proprio credo, si trova oggi (e da lungo tempo) avversato e sconfitto da non-islamici, che godono per giunta di un tenore di vita innegabilmente più confortevole[2].
Guardando solamente alla storia recente, troviamo due date che esprimono l’impotenza e l’umiliazione dell’Islam dinanzi all’Occidente forte e conquistatore: il 1798 ed il 1918.
Il 1798 è la data dell’invasione dell’Egitto da parte delle truppe francesi guidate da Napoleone: per la prima volta una potenza occidentale conquista uno degli stati arabi più forti ed importanti. E come se non bastasse, la Gran Bretagna dell’ammiraglio Nelson sconfigge Napoleone e conquista l’Egitto, il che rappresenta una doppia sconfitta perché evidenzia come le potenze non-islamiche siano capaci di trattare il suolo islamico come un qualsiasi campo di battaglia, come una preda da spogliare.
L’altra data epocale è il 1918: con la fine della prima guerra mondiale il grande impero turco-ottomano si disintegra e viene spezzettato ed affidato (colonizzato?) alle potenze vincitrici: le attuali Siria e Libano alla Francia; gli attuali Irak, Palestina e Giordania alla Gran Bretagna. La Turchia invece ha un destino diverso perché riesce a definirsi come stato nazionale indipendente e laico già nel 1922, grazie al padre della patria Mustafà Kemal Ataturk; riesce così a mantenere quell’indipendenza che le permettono (unico stato con popolazione musulmana) di giocare un ruolo da pari con le potenze occidentali.
C’è da dire che la Turchia gode di una posizione geografica che, da sempre e naturalmente, le permette di entrare facilmente in contatto con l’Occidente, sia per commerci che per scambi culturali. E quando, dinanzi allo strapotere militare di Francia e Gran Bretagna, il mondo islamico si chiede da dove derivi la superiorità dell’Occidente, quale sia il segreto che permette all’Europa di vincere, la Turchia invia diplomatici ed esperti per viaggiare, studiare e scoprire il modo di vivere occidentale europeo. Ebbene, la motivazione prima della superiorità europea, il segreto del suo sviluppo, sembra chiamarsi “libertà”, quell’ideale veicolato dalla Rivoluzione Francese del 1789, ideale laico, non-cristiano e quindi più facilmente assumibile dall’Islam.
Se è la libertà a permettere lo sviluppo, allora alcuni popoli islamici provano a sperimentarla, dando vita a delle forme di governo costituzionale (anche se il diritto islamico non prevede né personalità giuridica collettiva, né comuni, né consigli, né parlamento, né supremazia della decisione a maggioranza. Ma un solo Dio in cielo e un solo sovrano sulla terra). Ci provano la Turchia di Ataturk, l’Egitto di Muhammad Ali Pasa e l’Iran che dal 1906 al 1979 ha una costituzione liberale con assemblea legislativa elettiva (nel 1979 inizia poi la teocrazia di Khomeini che tanta parte ha nella lotta anti-occidentale, il restauratore della purezza islamica che per primo addita gli Stati Uniti come il Grande Satana ed Israele come il Piccolo Satana, i nemici da combattere per instaurare l’Islam nel mondo).
Ma la democrazia politica non è una legge della natura, non nasce da sola e non si può trapiantare ovunque, bensì è una concezione che si è sviluppata in occidente in modo lento, concezione che ha avuto bisogno di determinati “fattori ambientali” per crescere e svilupparsi, ovvero quei fattori economici e sociali che, seminati sin dal diritto romano e dalla filosofia greca, sono poi maturati nel corso della storia, delle arti, delle scienze e che ad oggi non sembrano essere presenti nel Medio Oriente. Di fatto tra i paesi del Medio Oriente (e vogliamo comprendere anche i 51 stati membri della Conferenza islamica), solo tre possono essere definiti “democratici”: Israele, che non è islamico, il Libano, che ha un certo numero di cristiani, e la Turchia, che, come già visto, ha sempre avuto contatti con l’Europa.
3. Quali frutti ha portato il contatto con l’Occidente?
“A partire dal quindicesimo secolo i popoli d’Europa lanciarono un vasto movimento di espansione (commerciale, politica, culturale e demografica) che nel ventesimo secolo aveva ormai incorporato quasi il mondo intero nell’orbita della civiltà europea.(...) Mentre portoghesi e spagnoli, inglesi, olandesi e francesi salpavano dall’Europa occidentale per traversare gli oceani e scoprire nuovi mondi o conquistarne di vecchi, i russi avanzavano attraverso le steppe verso sud e verso est, in direzione del Medio Oriente e nel cuore dell’Asia.” (Lewis, La costruzione del Medio Oriente, p.34)
Ciononostante il Medio Oriente ha resistito a questa sorta di “morsa” grazie alla nascita dello Stato safavide in Persia e quello ottomano in Turchia, anche se ha visto sfumare il sogno dell’autosufficienza e della propria superiorità rispetto al non-islamico.
In gran parte il processo di espansione europeo si è sviluppato in modo cruento, dando vita alla colonizzazione ed in alcuni casi, come in Canada, all’espulsione degli abitanti precedenti per dare vita ad un nuovo sistema sociale del tutto omogeneo a quello della madrepatria. Ora possiamo dire che nel Medio Oriente l’impatto dell’Europa è stato in principio meno cruento e volto maggiormente all’aspetto economico che non alla diretta colonizzazione della popolazione. Allora ci chiediamo: quali frutti ha prodotto l’occidentalizzazione nel Medio Oriente? Nel mondo occidentale abbiamo l’abitudine di proporci come modello di virtù e progresso: essere come noi è un bene, divenire simili a noi significa migliorare. E certamente l’occidentalizzazione ha portato vantaggi quali tecnologia, ricchezza e comodità; ma ha causato anche profonde trasformazioni: “una di queste è la disintegrazione e frammentazione politica della regione”(p.52). Lo sgretolamento di un sistema politico consolidato guidato da un capo riconosciuto come tale (scià, sultano o signore che dir si voglia) ha lasciato spazio ad una serie di re, presidenti e dittatori che difficilmente sono stati riconosciuti dalla popolazione; ed ha generato una disintegrazione sociale e culturale che ha portato un senso di “irresponsabilità” della comunità, allentando i vincoli di appartenenza. E’ da questa crisi che nasce l’ondata di ostilità verso l’Occidente, “dalla crisi di una civiltà che reagisce contro l’impatto di forze estranee che l’avevano dominata, disarticolata e trasformata” (p.54). E vogliamo far riferimento qui non solo all’avvento della tecnologia ma anche alle spinte per l’emancipazione e la realizzazione del principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. La mentalità islamica è però decisamente lontana dal nostro concetto di uguaglianza, tanto che il Corano stesso codifica le seguenti differenze: tra uomo e donna, tra credente e miscredente, tra uomo libero e schiavo. Va da sé che sono le idee straniere degli occidentali ad ispirare e condurre la lotta verso l’emancipazione dei tre gruppi discriminati, il che equivale a creare attriti e conflitti all’interno della visone stessa di “società”. Eppure non si può misconoscere taluni aspetti della società islamica estremamente importanti quali la tolleranza, la coesistenza di differenti scuole di pensiero del diritto divino, la mobilità sociale ed il rifiuto sia di privilegi aristocratici che di differenze di casta.
La nuova domanda che ci poniamo allora è: il Medio Oriente non si assimila al modello di vita occidentale perché la modernizzazione è ancora troppo poca oppure perché è già troppa? E’ l’Occidente a contaminare l’ideale di purezza islamica, oppure è possibile una convivenza proficua con la modernizzazione? Sembra che i movimenti fondamentalisti insistano sulla prima posizione e, da Komehini in poi, identifichino negli USA l’avversario da sconfiggere per far trionfare l’Islam.
4. La rivolta dell’Islam
Ogni civiltà ha i suoi riformatori ed i suoi fondamentalisti (basti pensare al ruolo giocato dal protestantesimo all’interno del cristianesimo), e naturalmente l’Islam non ne è esente[3]. La tesi centrale dei fondamentalisti è che gli stati Islamici sono in rovina perché non aderenti alla purezza del Corano: è dunque necessario ripristinare la purezza originaria, seguendo le orme del Profeta. Ebbene Maometto stesso in qualità di Profeta e Guida della sua comunità ha utilizzato due distinte modalità di lotta politica: la “resistenza” in opposizione all’oligarchia pagana regnante a La Mecca,, tra il 570 ed il 622, e poi un vero e proprio “governo” in qualità di capo di uno stato islamico a Medina, successivamente all’egira (fuga dalla Mecca) del 622 e fino alla sua morte, nel 632. Dunque resistenza e governo sembrano essere le strategie da applicare per raggiungere il vero obiettivo: quello di realizzare definitivamente l’avvento dell’Islam nel mondo intero. Ieri come oggi. E’ questo un punto nevralgico nelle relazioni con il Medio Oriente: fino a che punto la l’instaurazione dell’Islam sarà perseguita con dialogo e tolleranza o fino a che punto sarà guidata da tentativi più o meno velati di proselitismo. Ed è un punto nevralgico anche per la vita interna dell’Islam, un punto di crisi fomentato da alcuni fattori che possiamo così individuare: innanzitutto una certa incapacità di dialogo tra i popoli stessi del Medio Oriente, con lingue e culture differenti (arabo, persiano, turco...); poi l’esaltazione di un passato puro e mitico, quello dell’epoca del Profeta, prima del quale non sarebbe successo nulla di notevole nell’umanità e dopo il quale si deve lottare contro la corruzione e lo sviluppo eterodosso; inoltre la certezza di possedere la Parola del Corano, libro di bellezza unica ed irripetibile; ed ancora la consapevolezza dell’arretratezza nel confronto con lo sviluppo economico dei popoli non-islamici. Tali fattori possono facilmente scatenare sentimenti esplosivi di umiliazione, sia verso i governanti dei singoli stati (definiti apostati[4]) sia verso l’esterno, verso l’occidente (infedele).
I nomi dei movimenti fondamentalisti estremisti sono per lo più noti, e ne riportiamo un elenco; ciò che non è noto, ed anzi è ancora da scrivere, è la storia futura dei rapporti di questi innanzitutto con il Medio Oriente e poi con l’esterno, individuato per ora nell’Occidente. Il primo e più antico è il già citato movimento wahhabista dell’Arabia; in Egitto negli anni trenta viene fondato dallo sceicco Hasar al-Bannà il movimento dei Fratelli Musulmani, rivelatosi particolarmente cruento; contemporaneamente in Iran prendono vita i Fidaiyan-i Islam (I devoti dell’Islam) e successivamente troviamo la rivolta popolare del 1979; ed infine i contemporanei Talebani in Iran, Hamas, Jihad in Palestina, Hezbollah in Libano, Al Quaeda, in Irak (costituita da bin Laden nel 1989, anno della caduta dell’URSS) ai quali possiamo forse aggiungere il palestinese OLP, 1964, di Arafat.
Quali sono le accuse che gli estremisti rivolgono all’Occidente in generale ed all’America in particolare? Innanzitutto di non aver ancora abbracciato l’Islam; e poi di vivere senza principi morali e nella dissolutezza, i cui esempi possono essere l’emancipazione delle donne e la separazione tra chiesa e stato. Gli estremisti (Osama bin Laden in testa) credono che la lotta contro questo tipo di Occidente sarà necessariamente vittoriosa perché sarebbero stati loro a resistere e vincere contro un nemico ben più grande: l’Unione Sovietica. Resistendo all’avanzata russa in Afghanistan (1979) ne avrebbero minato le basi fino a vincerla definitivamente con il crollo del muro di Berlino (1989).
Ebbene, dal nostro punto di vista tutto ciò è almeno antistorico; anzi a-storico e decontestualizzato. Si può ragionare sul fatto se l’Occidente perpetui i suoi comportamenti colonizzatori o se faccia poco per agevolare sanità ed alfabetizzazione nel mondo. Ma l’estremismo, come ogni altra deviazione, va condannato sia dall’esterno che dall’interno. In fondo se una certa interpretazione del Corano permette di parlare di guerra santa all’infedele, non c’è però alcun passo scritturistico sul quale fondare il terrorismo e l’assassinio di persone innocenti, spesso di fede islamica (che i terroristi vorrebbero far passare come martiri). Anzi il suicidio è considerato peccato mortale e punito con l’inferno. Se quindi da un lato può esistere un sentimento negativo nei confronti dell’Occidente, per altro gli atti terroristici sono in netto contrasto con l’insegnamento dell’Islam.
5. Nuovi sentimenti per il Medio Oriente
Per concludere questo generico quadro del Medio Oriente riprendiamo le parole di S.Kassir chiedendoci: quali nuovi sentimenti dovranno animare i popoli del Medio Oriente?
Se nei suoi cinquemila anni di storia l’umanità ha visto l’ascesa ed il declino di molti ed importanti imperi, allora la prima cosa che si può affermare è che anche l’attuale sistema geopolitico vedrà nuove fasi e sviluppi che lo trasformeranno fino a farlo diventare qualcosa d’altro (e speriamo di profondamente pacifico); il che implica che vi siano degli attori in grado di imprimere cambiamenti, ovvero uomini e donne consapevoli dell’eredità del passato e impegnati nella costruzione del futuro; ciò -come già detto- porta al dialogo, al confronto tra civiltà differenti; porta a contestualizzare il momento storico; e necessita una visione, un orizzonte per il futuro. In altri termini, i popoli del Medio Oriente possono sì sentirsi infelici ed impotenti, ma possono anche iniziare a pensare ed a sperare di uscirne fuori. Proiettarsi al futuro, piuttosto che tentare di mantenere un passato mitico, vero o presunto che sia. Ciò potrebbe portare ad una rivalutazione della modernità e dell’Occidente e quindi a pensare che non è lo scontro con l’Europa o con l’America (o con la Cina domani?) che automaticamente genera povertà ed infelicità.
Un atteggiamento da “vittima dell’umanità” porta a non considerare il resto del mondo (Africa, America Latina...) e genera una risposta estrema, quella del terrorismo per l’appunto (del “tanto peggio per tutti”); un atteggiamento meno virulento può portare al nazionalismo islamico, che ha però il rischio di sfociare in un atteggiamento sostanzialmente difensivo. Un atteggiamento più aperto considererebbe inaccettabile che “il fine giustifichi i mezzi” specie quando “i mezzi” sono vittime civili. Se invece il buon albero si riconosce dal buon frutto ed è generato da un buon seme, allora alle presenti generazioni spetta il compito di seminare, coltivare e proteggere i semi migliori che l’umanità, occidentale ed orientale, ha sinora prodotto. Dunque rigettare una cultura della morte per una cultura della vita. Rigettare lo slogan di guerra preventiva per quello di pace preventiva, di giustizia preventiva.
[1] Successivamente all’influenza romana che si sviluppa tra il 2°sec a.C. ed il 6° d.C., la zona è stata oggetto del potere arabo nel 7° ed 8° (gli arabi dell’attuale Arabia Saudita islamizzarono molti popoli, tra cui i Persiani, creando un sistema imperiale unitario dall’Africa all’India, il primo dopo le conquista di Alessandro Magno). Nel 9° e 10° secolo furono i Persiani a dettare legge; e dal 10° secolo alla Grande Guerra furono le dinastie turche.
[2]Tale situazione di inferiorità, di sconfitta, non è nuova: a parte il primo secolo di vita con le conquiste e le conversioni realizzate da Maometto e dai primi Califfi, lo sviluppo dell’Islam ha trovato difficoltà ed impedimenti. Così la sconfitta in Francia a Poitiers e Tours nel 793 da parte di Pipino il Breve (nonno di Carlo Magno); e poi, dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Saladino nel 1187 e la vittoria con la presa di Costantinopoli del 1453 (con la relativa nascita dell’impero ottomano), ecco la Reconquista spagnola (o cacciata degli arabi) che culmina nel 1492; la sconfitta nel secondo assedio di Vienna nel 1683; l’annessione della Crimea, territorio turco ed islamico, da parte dei russi nel 1783. Dinanzi all’innegabile superiorità militare occidentale, a partire dal 1729 i turchi invitano esperti militari francesi per studiare la strategia militare occidentale e lo sviluppo delle armi.
[3] Lo spirito di rinnovamento (o sarebbe meglio dire restaurazione) dell’Islam è incarnato da Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhàb (1703-1787) che nel 1744 iniziò una campagna di purificazione della religione in Arabia, dando vita all’impero wahhabita (impero che durò 74 anni e che si opponeva alla supremazia turco-ottomana).
[4] E’ il caso dell’assassinio di Sadat del 1959, il presidente egiziano che ha dialogato con Stati Uniti e Israele; è il caso della rivolta in Iran del 1979 con l’avvento al potere di Khomeini.
Bibliografia
Bernard Lewis, La costruzione del Medio Oriente, Laterza, 2003
Bernard Lewis, La crisi dell’Islam, Oscar Mondadori, 2005
Samir Kassir, L’infelicità araba, Einaudi, 2006
Roger Owen, Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno, Il Ponte, Bologna, 2005
1. Medio Oriente e Occidente
“Medio Oriente” e “Occidente” sono termini di uso quotidiano che indicano con una certa precisione due differenti aree geografiche, e con molta imprecisione due modi di vivere differenti. Con “Occidente” si intendono, infatti, si tutti i paesi compresi tra le sponde del mediterraneo e le coste del pacifico, includendo quindi sia l’Europa che le Americhe senza particolari distinzioni. Ma guardando ai popoli ed alle culture occidentali si nota come tale assimilazione sia imprecisa, dal momento che non solo non emerge un sentimento unitario tra gli europei (basti pensare alle tristi sorti della Costituzione Europea) ma anzi negli ultimi cinquant’anni sono sempre stati presenti idee e sentimenti di contrapposizione tra USA e UE.
Intendiamo comunemente con Medio Oriente quell’area geografica tra le sponde orientali del Mediterraneo e le catene montuose dell’Afghanistan, circondato a nord-est dalle ex - repubbliche sovietiche (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kibghizistan) ed a sud-est dalla penisola indiana e dalla catena montuosa del Tibet.
Dal punto di vista geografico in quest’area, per gran parte arida, troviamo varie regioni: due grandi valli, quella dei fiumi Eufrate e Tigri, e quella del Nilo, sulle sponde dei quali si sono sviluppate le civiltà della Mezzaluna fertile e dell’Egitto; gli altipiani dell’Anatolia o Turchia e della Persia o Iran; ed infine una zona intermedia tra le due grandi valli caratterizzata dalle catene montuose del Libano e dell’Antilibano.
Le varie popolazioni sono tra loro decisamente differenti per storia, religione, lingua: basti pensare alle differenze tra le culture millenarie Persiana (Iraq- Assiri e Babilonesi a partire dal 2° millennio a.C.) ed Egiziana (con i faraoni dal 3° millennio a.C.) ed i popoli che da esse sono stati dominati.[1]
Le religioni che si affacciarono nel Medio Oriente furono il Giudaismo, il Cristianesimo ed ovviamente l’Islam dal 632 d.C.; ma ciò che ci permette di constatare le differenze tra le popolazioni sono le lingue: quella araba (di origine semitica) al sud; quella persiana (di origine indoeuropea e connessa al sanscrito) ad est; quella turcotartara (di origine asiatica) al nord. Al fianco di queste ne esistono di minori quali il tagico, il pasto, il curdo.
Ancora meno preciso sembra essere il termine “Medio Oriente”, che in prima istanza può evocare qualcosa che ha a che fare con l’Islam, con popolazioni lontane, povere e analfabete; od ancora a stati nei quali difficilmente vivono i concetti di democrazia e libertà. In realtà vivono in Medio Oriente un insieme di popoli differenti (arabi, nord-africani, persiani, turchi) che parlano lingue differenti e che hanno alle spalle storie differenti. Ci sono state civiltà più forti e conquistatrici e popoli più piccoli e conquistati. Il primo sforzo da fare è, allora, contestualizzare le storie delle varie dinastie, dell’ascesa e del declino dei vari imperi (assiro, babilonese, persiano, greco, romano, arabo, turco-ottomano) che nel giro di 5 millenni si sono succeduti sino ad oggi; ciò permette innanzitutto di affermare che prima della nascita dell’Islam, prima cioè del 622 d.C., in questa zona del mondo si sono sviluppate varie civiltà che hanno contribuito in diverso modo allo sviluppo dell’umanità (dalle tecniche di costruzione e di alimentazione all’alfabeto, ai numeri, alle scienze mediche, umanistiche e tecniche). Inoltre, se varie sono state le culture che si sono succedute, possiamo anche pensare che le culture ed i sistemi di potere attuali (e quindi sia la gestione economica occidentale che la visione politica islamica) potranno un giorno evolversi e terminare, lasciando spazio per nuove forme di gestione della vita.
2.L’infelicità araba
Detto questo, l’immagine comune che abbiamo del Medio Oriente è innegabilmente vera: queste popolazioni soffrono la povertà, malattia che ancora colpisce gran parte dell’umanità. Sono povere almeno tanto quanto altre popolazioni asiatiche, sub-sahariane o dell’america latina; ma a differenza di queste, il Medio Oriente presenta una propria peculiartà: una diffusa infelicità.
“C’è bisogno di descriverla l’infelicità araba? Basterebbero pochi dati per mettere in evidenza la gravità dell’impasse in cui sono bloccate le società arabe: tasso d’analfabetismo, forbice tra i più ricchi, immensamente ricchi, e i più poveri, disperatamente poveri, sovraffollamento delle città, desertificazione delle aree rurali (...) L’infelicità araba ha questo di particolare: la provano quelli che
(visti da n.d.r.) altrove parrebbero risparmiati. E ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e i sentimenti. A iniziare dalla sensazione (...) che il futuro è una strada ostruita. (...) L’impotenza, innegabilmente, è oggi la cifra dell’infelicità araba. Impotenza a essere ciò che si ritiene di dover essere. Impotenza ad agire per affermare la propria volontà di esistere, se non altro come possibilità, di fronte all’Altro che ti nega, ti disprezza e, adesso, nuovamente ti domina. (...) Vista la crisi delle ideologie, a questo punto, per dare sfogo alla frustrazione e per veicolare la richiesta di cambiamento, non resta che il ricorso alla religione.” (S.Kassir, pp.3,4,6,27)
Riporto una lunga citazione di S.Kassir perché con estrema chiarezza mette in luce la prospettiva dalla quale i popoli del Medio Oriente sembrano guardare a se stessi, al loro futuro ed all’Occidente: con sguardo impotente. La gente dell’Islam, popolo che ha ricevuto da Dio l’ultima e più vera rivelazione di cui dovrebbe essere il testimone verace per l’intera umanità convertendo e facendo trionfare il proprio credo, si trova oggi (e da lungo tempo) avversato e sconfitto da non-islamici, che godono per giunta di un tenore di vita innegabilmente più confortevole[2].
Guardando solamente alla storia recente, troviamo due date che esprimono l’impotenza e l’umiliazione dell’Islam dinanzi all’Occidente forte e conquistatore: il 1798 ed il 1918.
Il 1798 è la data dell’invasione dell’Egitto da parte delle truppe francesi guidate da Napoleone: per la prima volta una potenza occidentale conquista uno degli stati arabi più forti ed importanti. E come se non bastasse, la Gran Bretagna dell’ammiraglio Nelson sconfigge Napoleone e conquista l’Egitto, il che rappresenta una doppia sconfitta perché evidenzia come le potenze non-islamiche siano capaci di trattare il suolo islamico come un qualsiasi campo di battaglia, come una preda da spogliare.
L’altra data epocale è il 1918: con la fine della prima guerra mondiale il grande impero turco-ottomano si disintegra e viene spezzettato ed affidato (colonizzato?) alle potenze vincitrici: le attuali Siria e Libano alla Francia; gli attuali Irak, Palestina e Giordania alla Gran Bretagna. La Turchia invece ha un destino diverso perché riesce a definirsi come stato nazionale indipendente e laico già nel 1922, grazie al padre della patria Mustafà Kemal Ataturk; riesce così a mantenere quell’indipendenza che le permettono (unico stato con popolazione musulmana) di giocare un ruolo da pari con le potenze occidentali.
C’è da dire che la Turchia gode di una posizione geografica che, da sempre e naturalmente, le permette di entrare facilmente in contatto con l’Occidente, sia per commerci che per scambi culturali. E quando, dinanzi allo strapotere militare di Francia e Gran Bretagna, il mondo islamico si chiede da dove derivi la superiorità dell’Occidente, quale sia il segreto che permette all’Europa di vincere, la Turchia invia diplomatici ed esperti per viaggiare, studiare e scoprire il modo di vivere occidentale europeo. Ebbene, la motivazione prima della superiorità europea, il segreto del suo sviluppo, sembra chiamarsi “libertà”, quell’ideale veicolato dalla Rivoluzione Francese del 1789, ideale laico, non-cristiano e quindi più facilmente assumibile dall’Islam.
Se è la libertà a permettere lo sviluppo, allora alcuni popoli islamici provano a sperimentarla, dando vita a delle forme di governo costituzionale (anche se il diritto islamico non prevede né personalità giuridica collettiva, né comuni, né consigli, né parlamento, né supremazia della decisione a maggioranza. Ma un solo Dio in cielo e un solo sovrano sulla terra). Ci provano la Turchia di Ataturk, l’Egitto di Muhammad Ali Pasa e l’Iran che dal 1906 al 1979 ha una costituzione liberale con assemblea legislativa elettiva (nel 1979 inizia poi la teocrazia di Khomeini che tanta parte ha nella lotta anti-occidentale, il restauratore della purezza islamica che per primo addita gli Stati Uniti come il Grande Satana ed Israele come il Piccolo Satana, i nemici da combattere per instaurare l’Islam nel mondo).
Ma la democrazia politica non è una legge della natura, non nasce da sola e non si può trapiantare ovunque, bensì è una concezione che si è sviluppata in occidente in modo lento, concezione che ha avuto bisogno di determinati “fattori ambientali” per crescere e svilupparsi, ovvero quei fattori economici e sociali che, seminati sin dal diritto romano e dalla filosofia greca, sono poi maturati nel corso della storia, delle arti, delle scienze e che ad oggi non sembrano essere presenti nel Medio Oriente. Di fatto tra i paesi del Medio Oriente (e vogliamo comprendere anche i 51 stati membri della Conferenza islamica), solo tre possono essere definiti “democratici”: Israele, che non è islamico, il Libano, che ha un certo numero di cristiani, e la Turchia, che, come già visto, ha sempre avuto contatti con l’Europa.
3. Quali frutti ha portato il contatto con l’Occidente?
“A partire dal quindicesimo secolo i popoli d’Europa lanciarono un vasto movimento di espansione (commerciale, politica, culturale e demografica) che nel ventesimo secolo aveva ormai incorporato quasi il mondo intero nell’orbita della civiltà europea.(...) Mentre portoghesi e spagnoli, inglesi, olandesi e francesi salpavano dall’Europa occidentale per traversare gli oceani e scoprire nuovi mondi o conquistarne di vecchi, i russi avanzavano attraverso le steppe verso sud e verso est, in direzione del Medio Oriente e nel cuore dell’Asia.” (Lewis, La costruzione del Medio Oriente, p.34)
Ciononostante il Medio Oriente ha resistito a questa sorta di “morsa” grazie alla nascita dello Stato safavide in Persia e quello ottomano in Turchia, anche se ha visto sfumare il sogno dell’autosufficienza e della propria superiorità rispetto al non-islamico.
In gran parte il processo di espansione europeo si è sviluppato in modo cruento, dando vita alla colonizzazione ed in alcuni casi, come in Canada, all’espulsione degli abitanti precedenti per dare vita ad un nuovo sistema sociale del tutto omogeneo a quello della madrepatria. Ora possiamo dire che nel Medio Oriente l’impatto dell’Europa è stato in principio meno cruento e volto maggiormente all’aspetto economico che non alla diretta colonizzazione della popolazione. Allora ci chiediamo: quali frutti ha prodotto l’occidentalizzazione nel Medio Oriente? Nel mondo occidentale abbiamo l’abitudine di proporci come modello di virtù e progresso: essere come noi è un bene, divenire simili a noi significa migliorare. E certamente l’occidentalizzazione ha portato vantaggi quali tecnologia, ricchezza e comodità; ma ha causato anche profonde trasformazioni: “una di queste è la disintegrazione e frammentazione politica della regione”(p.52). Lo sgretolamento di un sistema politico consolidato guidato da un capo riconosciuto come tale (scià, sultano o signore che dir si voglia) ha lasciato spazio ad una serie di re, presidenti e dittatori che difficilmente sono stati riconosciuti dalla popolazione; ed ha generato una disintegrazione sociale e culturale che ha portato un senso di “irresponsabilità” della comunità, allentando i vincoli di appartenenza. E’ da questa crisi che nasce l’ondata di ostilità verso l’Occidente, “dalla crisi di una civiltà che reagisce contro l’impatto di forze estranee che l’avevano dominata, disarticolata e trasformata” (p.54). E vogliamo far riferimento qui non solo all’avvento della tecnologia ma anche alle spinte per l’emancipazione e la realizzazione del principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. La mentalità islamica è però decisamente lontana dal nostro concetto di uguaglianza, tanto che il Corano stesso codifica le seguenti differenze: tra uomo e donna, tra credente e miscredente, tra uomo libero e schiavo. Va da sé che sono le idee straniere degli occidentali ad ispirare e condurre la lotta verso l’emancipazione dei tre gruppi discriminati, il che equivale a creare attriti e conflitti all’interno della visone stessa di “società”. Eppure non si può misconoscere taluni aspetti della società islamica estremamente importanti quali la tolleranza, la coesistenza di differenti scuole di pensiero del diritto divino, la mobilità sociale ed il rifiuto sia di privilegi aristocratici che di differenze di casta.
La nuova domanda che ci poniamo allora è: il Medio Oriente non si assimila al modello di vita occidentale perché la modernizzazione è ancora troppo poca oppure perché è già troppa? E’ l’Occidente a contaminare l’ideale di purezza islamica, oppure è possibile una convivenza proficua con la modernizzazione? Sembra che i movimenti fondamentalisti insistano sulla prima posizione e, da Komehini in poi, identifichino negli USA l’avversario da sconfiggere per far trionfare l’Islam.
4. La rivolta dell’Islam
Ogni civiltà ha i suoi riformatori ed i suoi fondamentalisti (basti pensare al ruolo giocato dal protestantesimo all’interno del cristianesimo), e naturalmente l’Islam non ne è esente[3]. La tesi centrale dei fondamentalisti è che gli stati Islamici sono in rovina perché non aderenti alla purezza del Corano: è dunque necessario ripristinare la purezza originaria, seguendo le orme del Profeta. Ebbene Maometto stesso in qualità di Profeta e Guida della sua comunità ha utilizzato due distinte modalità di lotta politica: la “resistenza” in opposizione all’oligarchia pagana regnante a La Mecca,, tra il 570 ed il 622, e poi un vero e proprio “governo” in qualità di capo di uno stato islamico a Medina, successivamente all’egira (fuga dalla Mecca) del 622 e fino alla sua morte, nel 632. Dunque resistenza e governo sembrano essere le strategie da applicare per raggiungere il vero obiettivo: quello di realizzare definitivamente l’avvento dell’Islam nel mondo intero. Ieri come oggi. E’ questo un punto nevralgico nelle relazioni con il Medio Oriente: fino a che punto la l’instaurazione dell’Islam sarà perseguita con dialogo e tolleranza o fino a che punto sarà guidata da tentativi più o meno velati di proselitismo. Ed è un punto nevralgico anche per la vita interna dell’Islam, un punto di crisi fomentato da alcuni fattori che possiamo così individuare: innanzitutto una certa incapacità di dialogo tra i popoli stessi del Medio Oriente, con lingue e culture differenti (arabo, persiano, turco...); poi l’esaltazione di un passato puro e mitico, quello dell’epoca del Profeta, prima del quale non sarebbe successo nulla di notevole nell’umanità e dopo il quale si deve lottare contro la corruzione e lo sviluppo eterodosso; inoltre la certezza di possedere la Parola del Corano, libro di bellezza unica ed irripetibile; ed ancora la consapevolezza dell’arretratezza nel confronto con lo sviluppo economico dei popoli non-islamici. Tali fattori possono facilmente scatenare sentimenti esplosivi di umiliazione, sia verso i governanti dei singoli stati (definiti apostati[4]) sia verso l’esterno, verso l’occidente (infedele).
I nomi dei movimenti fondamentalisti estremisti sono per lo più noti, e ne riportiamo un elenco; ciò che non è noto, ed anzi è ancora da scrivere, è la storia futura dei rapporti di questi innanzitutto con il Medio Oriente e poi con l’esterno, individuato per ora nell’Occidente. Il primo e più antico è il già citato movimento wahhabista dell’Arabia; in Egitto negli anni trenta viene fondato dallo sceicco Hasar al-Bannà il movimento dei Fratelli Musulmani, rivelatosi particolarmente cruento; contemporaneamente in Iran prendono vita i Fidaiyan-i Islam (I devoti dell’Islam) e successivamente troviamo la rivolta popolare del 1979; ed infine i contemporanei Talebani in Iran, Hamas, Jihad in Palestina, Hezbollah in Libano, Al Quaeda, in Irak (costituita da bin Laden nel 1989, anno della caduta dell’URSS) ai quali possiamo forse aggiungere il palestinese OLP, 1964, di Arafat.
Quali sono le accuse che gli estremisti rivolgono all’Occidente in generale ed all’America in particolare? Innanzitutto di non aver ancora abbracciato l’Islam; e poi di vivere senza principi morali e nella dissolutezza, i cui esempi possono essere l’emancipazione delle donne e la separazione tra chiesa e stato. Gli estremisti (Osama bin Laden in testa) credono che la lotta contro questo tipo di Occidente sarà necessariamente vittoriosa perché sarebbero stati loro a resistere e vincere contro un nemico ben più grande: l’Unione Sovietica. Resistendo all’avanzata russa in Afghanistan (1979) ne avrebbero minato le basi fino a vincerla definitivamente con il crollo del muro di Berlino (1989).
Ebbene, dal nostro punto di vista tutto ciò è almeno antistorico; anzi a-storico e decontestualizzato. Si può ragionare sul fatto se l’Occidente perpetui i suoi comportamenti colonizzatori o se faccia poco per agevolare sanità ed alfabetizzazione nel mondo. Ma l’estremismo, come ogni altra deviazione, va condannato sia dall’esterno che dall’interno. In fondo se una certa interpretazione del Corano permette di parlare di guerra santa all’infedele, non c’è però alcun passo scritturistico sul quale fondare il terrorismo e l’assassinio di persone innocenti, spesso di fede islamica (che i terroristi vorrebbero far passare come martiri). Anzi il suicidio è considerato peccato mortale e punito con l’inferno. Se quindi da un lato può esistere un sentimento negativo nei confronti dell’Occidente, per altro gli atti terroristici sono in netto contrasto con l’insegnamento dell’Islam.
5. Nuovi sentimenti per il Medio Oriente
Per concludere questo generico quadro del Medio Oriente riprendiamo le parole di S.Kassir chiedendoci: quali nuovi sentimenti dovranno animare i popoli del Medio Oriente?
Se nei suoi cinquemila anni di storia l’umanità ha visto l’ascesa ed il declino di molti ed importanti imperi, allora la prima cosa che si può affermare è che anche l’attuale sistema geopolitico vedrà nuove fasi e sviluppi che lo trasformeranno fino a farlo diventare qualcosa d’altro (e speriamo di profondamente pacifico); il che implica che vi siano degli attori in grado di imprimere cambiamenti, ovvero uomini e donne consapevoli dell’eredità del passato e impegnati nella costruzione del futuro; ciò -come già detto- porta al dialogo, al confronto tra civiltà differenti; porta a contestualizzare il momento storico; e necessita una visione, un orizzonte per il futuro. In altri termini, i popoli del Medio Oriente possono sì sentirsi infelici ed impotenti, ma possono anche iniziare a pensare ed a sperare di uscirne fuori. Proiettarsi al futuro, piuttosto che tentare di mantenere un passato mitico, vero o presunto che sia. Ciò potrebbe portare ad una rivalutazione della modernità e dell’Occidente e quindi a pensare che non è lo scontro con l’Europa o con l’America (o con la Cina domani?) che automaticamente genera povertà ed infelicità.
Un atteggiamento da “vittima dell’umanità” porta a non considerare il resto del mondo (Africa, America Latina...) e genera una risposta estrema, quella del terrorismo per l’appunto (del “tanto peggio per tutti”); un atteggiamento meno virulento può portare al nazionalismo islamico, che ha però il rischio di sfociare in un atteggiamento sostanzialmente difensivo. Un atteggiamento più aperto considererebbe inaccettabile che “il fine giustifichi i mezzi” specie quando “i mezzi” sono vittime civili. Se invece il buon albero si riconosce dal buon frutto ed è generato da un buon seme, allora alle presenti generazioni spetta il compito di seminare, coltivare e proteggere i semi migliori che l’umanità, occidentale ed orientale, ha sinora prodotto. Dunque rigettare una cultura della morte per una cultura della vita. Rigettare lo slogan di guerra preventiva per quello di pace preventiva, di giustizia preventiva.
[1] Successivamente all’influenza romana che si sviluppa tra il 2°sec a.C. ed il 6° d.C., la zona è stata oggetto del potere arabo nel 7° ed 8° (gli arabi dell’attuale Arabia Saudita islamizzarono molti popoli, tra cui i Persiani, creando un sistema imperiale unitario dall’Africa all’India, il primo dopo le conquista di Alessandro Magno). Nel 9° e 10° secolo furono i Persiani a dettare legge; e dal 10° secolo alla Grande Guerra furono le dinastie turche.
[2]Tale situazione di inferiorità, di sconfitta, non è nuova: a parte il primo secolo di vita con le conquiste e le conversioni realizzate da Maometto e dai primi Califfi, lo sviluppo dell’Islam ha trovato difficoltà ed impedimenti. Così la sconfitta in Francia a Poitiers e Tours nel 793 da parte di Pipino il Breve (nonno di Carlo Magno); e poi, dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Saladino nel 1187 e la vittoria con la presa di Costantinopoli del 1453 (con la relativa nascita dell’impero ottomano), ecco la Reconquista spagnola (o cacciata degli arabi) che culmina nel 1492; la sconfitta nel secondo assedio di Vienna nel 1683; l’annessione della Crimea, territorio turco ed islamico, da parte dei russi nel 1783. Dinanzi all’innegabile superiorità militare occidentale, a partire dal 1729 i turchi invitano esperti militari francesi per studiare la strategia militare occidentale e lo sviluppo delle armi.
[3] Lo spirito di rinnovamento (o sarebbe meglio dire restaurazione) dell’Islam è incarnato da Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhàb (1703-1787) che nel 1744 iniziò una campagna di purificazione della religione in Arabia, dando vita all’impero wahhabita (impero che durò 74 anni e che si opponeva alla supremazia turco-ottomana).
[4] E’ il caso dell’assassinio di Sadat del 1959, il presidente egiziano che ha dialogato con Stati Uniti e Israele; è il caso della rivolta in Iran del 1979 con l’avvento al potere di Khomeini.